Sarà Jean-Claude Juncker, 60 anni quest’anno, ex primo ministro cristiano-democratico lussemburghese e dinosauro dell’Unione europea, a presiedere la Commissione per i prossimi cinque anni. Dopo la scelta del Consiglio lo scorso 27 giugno (con 26 voti a favore e due contrari, Gran Bretagna e Ungheria), l’Europarlamento ha confermato la promessa elettorale di scegliere il candidato del gruppo arrivato in testa alle europee con 422 voti (250 contrari, 47 astensioni e 10 nulli). Un risultato più alto della maggioranza qualificata richiesta (376 voti), ma inferiore al “blocco” Ppe-Pse-Liberali che governa l’Europa (ci sono state defezioni britanniche e ungheresi nel Ppe, dei deputati del Labour e qualche socialista spagnolo nel Pse, mentre alcuni Verdi hanno votato per il federalista Juncker). Comunque, un voto migliore di quello ottenuto dal socialdemocratico Martin Schultz alla presidenza dell’Europarlamento (409 voti) il 1° luglio scorso, prima tappa dell’accordo del “blocco”.

Juncker ha presentato una bozza di programma, “dieci priorità politiche per la prossima Commissione”, un compromesso che fa qualche concessione alla linea socialdemocratica da parte di chi si vuole il “presidente del dialogo sociale” e il difensore dell’ “economia sociale di mercato”: il progetto più importante è l’investimento di 300 miliardi di euro in tre anni, per favorire occupazione, crescita e investimenti, che dovrebbe venire precisato “nei primi tre mesi” del nuovo esecutivo della Ue. Non è una rivoluzione, ma dovrebbero venire mobilitati soldi della Bei e quello che resta nei cassetti dei Fondi strutturali. Juncker ha promesso di far partecipare alla Ue il “ventinovesimo stato”, cioè l’esercito di 30 milioni di disoccupati che sta minando la fiducia nelle istituzioni di Bruxelles da parte dei cittadini. Gli investimenti dovranno venire concentrati nell’energia (l’Europa dovrà essere numero uno nelle rinnovabili, con un obiettivo di 30% di efficienza energetica nell’edilizia entro il 2030), nel digitale (creazione di un mercato unico digitale, fine del roaming), alla semplificazione burocratica per la piccola e media impresa, ma anche per favorire le riforme, che restano in agenda, tali e quali al passato: “non modificheremo il Fiscal Compact” ha precisato Juncker, anche se “il Consiglio ha constatato che ci sono margini di flessibilità”. Ci potrebbe essere un margine a favore di “proposte per incoraggiare le riforme strutturali, se necessario attraverso incentivi finanziari aggiunti”, come chiedono i paesi in difficoltà, Francia e Italia in testa. Concessioni ai socialdemocratici anche sulla possibilità di un salario minimo garantito in tutti i paesi membri, sulla necessaria lotta al dumping sociale per proteggere il diritto della libera circolazione e la difesa del servizio pubblico, malmenato dal vento liberista degli ultimi tempi.

Juncker ha preso impegni anche sul tragico capitolo dell’immigrazione, “un problema che non è solo di Italia o Malta, ma di tutti”. Doppio approccio: da un lato, la nomina di un commissario speciale all’immigrazione e la creazione di un team di guardie di frontiera per interventi rapidi nell’ambito di Frontex per fronteggiare l’emergenza, e dall’altro una promessa di riflessione sull’ “immigrazione regolare di cui l’Europa avrà bisogno nei prossimi 50 anni”. Per l’immediato, Juncker afferma: “lottiamo contro le bande criminali che fanno profitti sulla pelle degli altri” e “interveniamo prima che queste persone prendano le barche” per approdare in Europa dall’ “Africa infelice”.

Juncker ha preso un impegno sul Ttip, il trattato transatlantico, la Nato del commercio in via di negoziato tra Ue e Usa. Non sarà concluso “a qualunque prezzo”, personalmente favorevole, il neo-presidente afferma pero’ che “non possiamo abbandonare i nostri valori, le nostre norme”, in particolare sulla protezione dei dati e sulle giurisdizioni parallele, che Washington vorrebbe imporre agli europei, scavalcando cosi’ le legislazioni statali.

Juncker il federalista ha difeso l’euro che “protegge”, che ha evitato la “guerra di tutti contro tutti” nella crisi e che è sopravvissuto malgrado gli speculatori che avevano puntato “sul crollo della zona euro”. “Sono orgoglioso che la Grecia sia ancora nell’euro”, ha detto, dopo che “durante la crisi del debito abbiamo pilotato un aereo in fiamme”, ma ora bisogna ripensare i metodi della Trojka (Bce, Commissione, Fmi), che mancano di “sostanza democratica” e mettere sulla bilancia in futuro “uno studio minuzioso dell’impatto sociale dei programmi” di aggiustamento. Completa l’intervento la promessa di una maggiore trasparenza nel funzionamento delle istituzioni, con la creazione effettiva di un registro pubblico delle lobbies all’opera a Bruxelles (dove si aggirano più di 15mila lobbisti di tutti i tipi) e l’assicurazione di fronte all’insofferenza crescente verso l’espansione della Ue che “nei prossimi cinque anni” non ci saranno nuovi allargamenti, anche se i negoziati in corso per le adesioni continuano.

Scontata la reazione dell’estrema destra, che ha accolto l’omaggio all’euro al grido di “rubbish” (spazzatura). Per sottolineare che la nuova Commissione sarà più politica della precedente, Juncker ha reso omaggio a Jacques Delors, Kohl e Mitterrand, oltre a ringraziare “Madame Le Pen di non votarmi” perché “non voglio sostegno di chi respinge e dell’odio che esclude”.