Sorridete, un vento di ottimismo soffia sull’Europa. Per il suo terzo discorso sullo «stato dell’unione» da quando è presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker ha scelto le metafore marinare: «L’Europa ha di nuovo il vento in poppa, ma non andremo da nessuna parte se non approfittiamo di questi venti favorevoli», «è venuto il momento di costruire un’Europa più unita, più forte, più democratica» approfittando della «finestra di opportunità che non rimarrà aperta sempre».

 

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L’ANNO SCORSO LA UE aveva toccato il fondo, dopo il referendum sulla Brexit e la crisi che sembrava non finire mai.

L’anno prossimo gli sguardi saranno già rivolti alle elezioni europee del 2019 e al redde rationem dei rischi di derive populiste. Oggi, «dieci anni dopo l’inizio della crisi l’Europa conosce una ripresa economica e con essa un ritorno della fiducia», ha insistito Juncker di fronte all’Europarlamento a Strasburgo. Non tutti i cittadini probabilmente se ne sono accorti, ma le statistiche sono tornate ottimiste: da due anni, la crescita europea (oltre il 2%) è superiore a quella Usa, la disoccupazione decresce, 235 milioni di europei hanno un lavoro, più di prima dell’inizio della crisi, 8 milioni di posti di lavoro sono stati creati dal 2014 (anche se viene evitato di fare troppa luce sulla qualità di molti posti di lavoro). Il «piano Juncker» è all’opera, con l’effetto leva ha messo in moto 225 miliardi, che hanno coinvolto quasi mezzo milione di imprese. I deficit sono in calo (la media Ue è di 1,6% del pil).

Ieri il Parlamento ha approvato uno stanziamento di 500 milioni di euro per l’occupazione giovanile, da utilizzare entro fine anno, parte del finanziamento di 1,2 miliardi previsto fino al 2020: in Italia, Spagna e Grecia la disoccupazione dei giovani resta una piaga, con circa un terzo di disoccupati nella fascia fino a 25 anni.

L’OTTIMISMO DELLA VOLONTÀ di Juncker non gli fa dimenticare il pessimismo della ragione: crisi dei migranti, grande povertà non sradicata, precariato e minacce sulla stabilità del mondo, una Brexit «momento triste e tragico» (voi britannici «lo rimpiangerete»), ma che «non è il futuro della Ue». «Non è sufficiente riparare il tetto», ha detto Juncker, «dobbiamo lasciare gli ormeggi e mettere le vele». La traduzione in pratica di questa impennata di autocompiacimento rischia di gelare gli entusiasmi. Si torna alla complicata cucina comunitaria. In attesa della proposte sul rilancio dell’Europa che Emmanuel Macron ha previsto di fare dopo le elezioni tedesche del 24 settembre, Juncker già abbassa le aspettative: non ritiene opportuno un bilancio specifico e un Parlamento della zona euro, come pare voglia Macron, ma difende la carica di «ministro europeo delle finanze e dell’economia», che potrebbe anche essere alla guida del Mes (fondo di emergenza destinato a trasformarsi in un Fondo Monetario europeo, idea accettata anche dalla Germania). Questa riforma potrebbe avvenire senza toccare i trattati, materia incandescente.

JUNCKER PROPONE una nuova strategia europea per l’industria, che comprende una maggiore difesa di fronte a investimenti esteri considerati aggressivi: senza citare la Cina, il presidente della Commissione afferma che «non siamo partigiani ingenui del libero scambio».

Potrebbe esserci un nuovo regolamento europeo che rafforzi l’agenzia di sorveglianza e che permetta alla Commissione ma anche ad ogni stato membro di intervenire quando si profila una acquisizione in campi strategici, non solo più nella difesa o nella sicurezza interna, ma anche per l’acqua, l’elettricità, le strade, i porti (il Pireo avrebbe potuto non essere venduto ai cinesi). Sugli accordi commerciali di libero scambio, Juncker si impegna per una maggiore trasparenza, per evitare la crisi che ha bloccato il Ttip (l’accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti) e che sta frenando il Ceta (il trattato tra Ue e Canada) che difficilmente entrerà in vigore il 21 settembre, in Francia ci sono pareri negativi per la protezione ecologica. Ma l’Ue non si chiude nel protezionismo: dopo l’accordo con il Giappone, sono in vista negoziati con Nuova Zelanda e Australia.

AI PAESI DEI BALCANI, Juncker vuole offrire «prospettive credibili» per l’allargamento: «È tempo di portare la Romania e la Bulgaria nell’area Schengen. La Croazia merita di essere un membro a tutti gli affetti dell’area non appena avrà risposto a tutti i criteri richiesti», ha detto il presidente della Commissione Ue che ha proposto un vertice dei 27 da tenere in Romania il 30 marzo 2019, ovvero il giorno dopo l’uscita della Gran Bretagna.

Porte chiuse invece alla Turchia che «da un po’ si allontana a passi da gigante» dalla Ue. Juncker chiede ad Ankara «liberate i giornalisti».