Ai mercati la manovra italiana, pur se ancora in via di definizione, non è dispiaciuta troppo: borsa in rialzo, spread in discesa, al di sotto dei 300 punti. Alla commissione europea invece non è piaciuta affatto ma la situazione è delicata, reclama tatto e prudenza.

Il presidente Jean-Claude Juncker convoca i giornalisti italiani e torna a bocciare i conti del governo gialloverde, però solo tra le righe, chiamando in causa non la commissione stessa ma «altri Paesi», i quali «se accettassimo la deviazione ci coprirebbero di ingiurie e invettive accusandoci di essere troppo flessibili». Il guaio non è la commissione, insomma, sono quei Paesi con i conti in ordine che non tollererebbero il «derapage» italiano.

LA REAZIONE DELLA COPPIA di testa del governo italiano non si fa attendere. «Juncker dica chiaramente a nome di chi parla. Continui pure a rivoltarsi: ha tempo fino a maggio», attacca Luigi Di Maio. E Matteo Salvini rincara: «La manovra è passata. Juncker se ne faccia una ragione». Stavolta però il lussemburghese si muove in realtà con i piedi di piombo. Sottolinea di non voler mettere bocca nel merito delle scelte dell’Italia, giura di non voler sindacare le riforme in sé, ma solo «i conti». Spezza la sua lancia perché il caso italiano non venga discusso nel corso del Consiglio europeo, domani e dopodomani: «Bisogna evitare che l’Italia venga messa sul banco degli accusati».

NON È UN’IPOTESI REMOTA. Il premier olandese Mark Rutte scalpita per mettere subito l’Italia sotto accusa. I paesi del Nord concordano e di alleati il governo italiano non ne ha. Juncker può però contare sull’appoggio della Francia e della Germania alla sua tattica, che mira in realtà a prendere tempo. La lettera con cui la commissione chiederà «chiarimenti» all’Italia è già pronta, ma non verrà probabilmente spedita prima della fine del consiglio. Giovedì il commissario all’Economia Pierre Moscovici sarà a Roma, vedrà il ministro dell’Economia Giovanni Tria e dovrebbe essere ricevuto anche dal presidente della repubblica Mattarella.
Due giorni dopo, sabato, la legge di bilancio sarà trasmessa alla Camera. Non sarà ancora davvero chiara nei dettagli. Soprattutto per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, oggetto ieri di un vertice tra Conte, Tria e Di Maio, il quadro è ancora più che confuso. Ma sarà comunque più precisa del documento spedito ieri a Bruxelles, nel quale comunque non mancano sorprese: la Flat Tax è limitata al 15% per i redditi sino a 65mila euro l’anno senza quella al 20% sino a 100mila, non compaiono i rimborsi per i truffati dalle banche e parte delle risorse è ricavata a spese di banche e imprese.

A cosa la scelta temporeggiatrice della Ue miri, però, non è chiaro. Nessuno spera davvero che l’Italia rinunci all’intervento sulla Fornero, il vero bersaglio grosso, e neppure al reddito di cittadinanza. La verità, probabilmente, è che la commissione stessa non ha ancora deciso come muoversi. Tra il 26 e il 31 ottobre arriveranno i verdetti delle agenzie di rating, prima di Standard&Poor’s, poi di Moody’s e senza dubbio orienteranno. Subito dopo la commissione dovrà decidere se tentare la mossa estrema, mai azzardata sinora, di rinviare la manovra in blocco, dando all’Italia tre settimane per riscriverla, o se rinviare fino al 21 novembre, procedendo secondo il percorso usuale in questi casi: lettera con richieste di modifiche, poi, se queste non arrivassero o fossero ritenute insufficienti, avvio della procedura d’infrazione.

PER IL GOVERNO GIALLOVERDE sarebbe una vittoria. Avrebbe dimostrato di poter sfidare l’Europa cavandosela con poco danno e in più la procedura d’infrazione, che arriverebbe di fronte al Consiglio europeo in maggio, sarebbe oro colato per la campagna elettorale.

Sia la commissione che i principali leader dell’Eurozona, in particolare Angela Merkel e Emmanuel Macron, sono consapevoli del dilemma. Né ingaggiare una battaglia frontale con un Paese determinante per le sorti della Ue né permettere di cantare vittoria a un governo vissuto dalle cancellerie non come euroscettico ma come antieuropeo sono opzioni gradite. Di qui a novembre il nodo dovrà essere sciolto.
Sempre che le cose non precipitino prima, o per un verdetto troppo negativo delle agenzie di rating oppure per il cedimento del fronte più esposto, quello delle banche italiane o europee con molti titoli italiani in pancia.