Era un pomeriggio caldo quel 4 aprile del 2011 quando Juliano Mer- Khamis uscì dal Freedom Theatre, nel campo profughi di Jenin, a bordo della sua vecchia Citroen rossa. Il figlioletto Jay e la babysitter erano seduti accanto a lui. Procedeva lentamente perchè il campo era affollato, come sempre. Dopo pochi metri un uomo con il passamontagna sbucò da un vicolo e gli disse di fermarsi. Aveva una pistola. La babysitter spaventata lo pregò di continuare, di non correre rischi. Ma lui si fermò, per chiedere spiegazioni. Juliano non fece in tempo ad aprire bocca che quell’uomo gli sparò contro cinque volte, poi tornò nel vicolo da dove era venuto lasciando il passamontagna in strada. Jay e la babysitter si salvarono, per Juliano la morte fu istantanea.

Terminò così la vita dell’attore figlio di una madre ebrea, Arna, e di un padre palestinese, Saliba, che aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita a fare teatro tra i giovani profughi. Proseguendo il lavoro cominciato tanto tempo prima dalla madre, sempre nel campo di Jenin. Una storia di una donna e di bambini palestinesi desiderosi di diventare attori ma destinati, da adolescenti, a morire combattendo contro l’occupante o ad essere uccisi senza pietà, che Juliano seppe raccontare con un film bellissimo visto in tutto il mondo: “I bambini di Arna”. La morte di Juliano Mer Khamis, a tre anni di distanza, resta un mistero. Troppi interrogativi non hanno ancora avuto una risposta. Proprio come l’assassinio di Vittorio Arrigoni, ucciso pochi giorni dopo a Gaza da un sedicente “gruppo salafita”.

Due omicidi distanti geograficamente eppure vicini per le trame che li avvolgono. Amici, conoscenti e sostenitori, continuano a chiedersi chi e perchè ha voluto la morte di Juliano. Di ipotesi se ne sono fatte molte. Accanto a coloro che puntano l’indice contro Israele, altrettanti lanciano accuse ai servizi dell’Autorità nazionale palestinese che avevano guardato sempre con ostilità al Freedom Theatre, oasi di libertà di espressione e di critica della situazione politica. Altri ancora sottolineano che quella libertà di espressione turbava non poco anche le formazioni islamiste più radicali che avevano messo radici nel campo e che a Juliano guardavano come a un nemico e non come a un amico dei palestinesi. L’attore, aggiunge qualcuno, si era fatto diversi nemici a Jenin. Il mistero resta fitto, con una sola terribile certezza. Tra i palestinesi del campo profughi di Jenin alcuni conoscono la verità, sanno chi ha sparato e per conto di chi. Queste persone non devono più tacere.