Chiunque negli ultimi sette anni sia entrato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per incontrare il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato sistematicamente spiato. Gli incontri di Assange con medici, avvocati, reporter, politici, giornalisti, artisti, venivano filmati e registrati e le informazioni trasmesse all’intelligence statunitense. Lo rivela Repubblica: si parla di un’attenzione maniacale al confine dell’ossessione compulsiva.

Microfoni nascosti sotto gli estintori, microfoni nel bagno delle donne, sistemi di registrazioni audio-video sempre più sofisticati per aggirare le preoccupazioni di Assange che passava per paranoico. Le spie erano arrivate al punto di valutare se rubare il pannolino di un neonato per prelevarne le feci e determinare, tramite l’esame del Dna, se fosse un figlio segreto del fondatore di WikiLeaks.

Sulla vicenda sta indagando l’Alta Corte spagnola che ha aperto un’indagine contro l’azienda che si occupava del controllo, la Uc Global, con sede a Jerez della Frontera, Cádiz, nel sud della Spagna. Il capo di Uc Global, David Morales, è stato arrestato per aver organizzato il sistema di sorveglianza dell’appartamento in cui si trovava Assange, fino al suo arrivo totalmente privo di controllo.

All’arrivo di Assange il governo dell’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa si era posto il problema ed aveva incaricato l’Uc Global dell’ex militare Morales di installare le videocamere nell’immobile; Morales ci ha visto un’opportunità per farsi strada nel mondo dello spionaggio.

Stando a quanto riferito da alcuni ex dipendenti di Uc Global, ora testimoni nell’inchiesta, Morales si sarebbe messo a disposizione della Cia inviando mail con informazioni dettagliate su tutti gli appuntamenti di Assange che poi andava a registrare.

L’arrivo di Trump alla Casa bianca ha fatto salire il livello di controllo: nell’ambasciata dell’Ecuador sono entrate nuove telecamere in grado non solo di catturare le immagini, ma anche le conversazioni con microfoni «invisibili a occhio nudo».

Alla luce di questa rivelazione uno degli avvocati di Assange, Aitor Martinez, ha dichiarato: «Visto quanto accaduto, è chiaro che l’estradizione negli Usa di Assange deve essere negata. Speriamo che la giustizia inglese capisca presto la gravità di questi fatti e neghi l’estradizione al più presto». Il 25 febbraio prossimo nel Regno unito si terrà la prima udienza sulla richiesta di estradizione negli Usa.

Il fondatore di Wikileaks è detenuto nel carcere di Belmarsh in condizioni che l’Onu ha definito preoccupanti. Negli Stati uniti rischia 175 anni di carcere per 18 capi d’accusa in base a una legge del 1917, l’Espionage act, per aver pubblicato cablogrammi diplomatici e documenti riservati riguardanti le attività dell’esercito americano in Iraq e in Afghanistan.

L’amministrazione Obama aveva deciso di non procedere, temendo l’incostituzionalità della contestazione e le ripercussioni sulla libertà di stampa. Trump, invece, ha scelto di agire, nonostante l’aiuto di ricevuto da WikiLeaks durante la campagna elettorale del 2016 tramite le mosse di Roger Stone, amico personale di Trump e uno dei direttori di quella campagna.

L’arresto di Assange, lo scorso aprile, aveva portato il giornalista premio Pulitzer, Glenn Greenwold, a scrivere: «Il giornalismo non è spionaggio. Essere una fonte giornalistica non significa essere spie. E pubblicare informazioni che mettono a nudo la cattiva condotta del governo o i crimini di guerra non è spionaggio. Quando il giornalismo viene trattato come un crimine, siamo tutti in pericolo. L’accusa di Assange non è la fine della saga di WikiLeaks. È l’inizio di un grosso assalto alla libertà di stampa».