La situazione in Siria? Per Julian Assange, cofondatore del sito Wikileaks, è anche dovuta all’assenza di libera informazione. Sia l’azione dei ribelli che quella del governo siriano – ha scritto Assange sulla stampa australiana – hanno reso irrespirabile l’atmosfera per i giornalisti, e il risultato è ora la mancanza di chiarezza sull’uso delle armi chimiche. Wikileaks, che ha pubblicato le rivelazioni del soldato Bradley Manning sullo scandalo del Cablogate, ha tirato fuori alcuni documenti segreti della società di intelligence Usa Stratfor, secondo i quali Washington progettava un intervento militare aereo in Siria già nel dicembre 2011: che sarebbe stato effettuato dopo un massacro sufficiente ad attrarre l’attenzione dei media. Finora – sostiene Assange – i piani del Pentagono non hanno potuto attuarsi per mancanza di un interlocutore affidabile nell’opposizione al governo di Assad, e per la forte presenza di gruppi estremistici legati ad al-Qaeda che hanno trasformato il conflitto in una guerra tra sciiti e sunniti capace di incendiare l’intera regione.

Anche in paesi dove si fa un gran parlare di libertà di stampa, alcuni grandi media non hanno dato un contributo alla chiarezza, scegliendo un colpevole ancor prima di avere il parere degli ispettori Onu: «Hit him hard», Colpite forte, titola per esempio la copertina dell’Economist riferendosi al presidente siriano Bashar al Assad mentre l’Onu sta ancora cercando chi abbia impiegato gas chimici il 21 agosto.

L’informazione va in guerra a dispetto della prudenza di certi governi o del rifiuto opposto all’intervento militare dall’opinione pubblica. Secondo un sondaggio comparso su The Sun, gli inglesi contrari alle incursioni aeree in Siria sono due volte di più dei favorevoli. Negli Stati uniti, dove i no-war continuano a manifestare, secondo un sondaggio Reuters, solo il 9% è favorevole all’intervento. E in Francia i contrari costituiscono il 59%.
In Gran Bretagna, i servizi segreti stanno mettendo sotto pressione i media che, come il Guardian, hanno pubblicato le informazioni di Edward Snowden sul Datagate. L’ex consulente Cia ha rivelato che, nel grande scandalo delle intercettazioni illegali messo in campo dalle agenzie Usa era coinvolta anche l’intelligence inglese, che ha imposto al giornale di distruggere gli archivi sul caso. Il Guardian ha chiesto il sostegno di altri giornali come il New York Times e il governo britannico avrebbe fatto pressione anche sul quotidiano statunitense tramite la sua ambasciata.
Il Washington Post ha però rivelato altri particolari riferiti al quadro geopolitico mediorientale e alle manovre contro la Siria. Nella guerra di intelligence, gli Usa spiavano anche gli alleati più vicini, come Israele, «un obbiettivo chiave»: anche per non trovarsi spiazzati qualora Tel Aviv avesse deciso di lanciare un attacco a sorpresa nella regione. Per controllare le reti informatiche di altri paesi o infiltrarle con sofisticati malware, le agenzie per la sicurezza nazionale Usa come la Nsa hanno speso 651,7 milioni di dollari, probabilmente fondi neri. E ora i cartelli pacifisti recitano: «Non usate il denaro dei contribuenti per fabbricare guerre».