In quella che fu, di fatto, la capitale culturale latinoamericana della metà del XIX secolo, Parigi, lo scrittore argentino Juan José Saer fissa il punto di partenza di una storia che sembra affondare le proprie radici nei fermenti artistici e politici di uno dei periodi più tormentati della ricerca identitaria ispano-americana. La vicenda del mentalista Bianco nel romanzo pubblicato da Saer nel 1988, L’occasione (ottima traduzione di Gina Maneri, La Nuova Frontiera (pp. 208, € 16,90) sembra prefigurare la sotterranea contrapposizione tra «materia» e «spirito» di fine ‘800 e inizio ‘900, il cui culmine sarà rappresentato in letteratura da Ruben Darío e dai modernisti; su questa opposizione si sarebbe espresso, in seguito, anche Ernesto Sabato, con profondo sgomento verso «un mondo basato sull’idolatria della tecnica e della scienza», che vedeva «il semidio rinascimentale lanciarsi euforico alla conquista dell’universo» e rimpiazzare l’angoscia metafisica e religiosa con l’efficienza.

Lo scontro cui qui si fa riferimento è quello tra il positivismo estremo, che degenerò nelle aberrazioni delle prime babeliche metropoli schiacciate dalla ossessiva corsa al capitale, e la resistenza dell’artista, relegato ai margini di una società che fino a pochi decenni prima lo considerava un punto di riferimento fondamentale per orientarsi politicamente e culturalmente. Da quest’ultima prospettiva scriveva Domingo Faustino Sarmiento, le cui descrizioni della pampa presenti in Facundo: Civilización y Barbarie (1845) sembrano riecheggiare in alcuni passi dell’Occasione: «La distesa piatta, priva di ostacoli, che lo circonda, grigia come il cielo di fine agosto, rappresenta meglio di qualsiasi altro luogo il vuoto uniforme, lo spazio privo della fosforescenza variegata che emanano i sensi, la terra di nessuno trasparente all’interno della testa in cui si concatenano sillogismi rigorosi e silenti, chiari».

La narrazione di Saer si presta a molteplici livelli di lettura, come è ovvio aspettarsi da uno dei più importanti autori argentini della seconda metà del Novecento. La sua tendenza a una certa «densità», e la predilezione per le citazioni nascoste – tratti che rimandano naturalmente a Borges – devono fare ampliare lo spettro diegetico di un’opera che trascende la vicenda narrata e si proietta verso una trasfigurazione allegorica di movimenti culturali e politici, di cambiamenti paradigmatici, di sconvolgimenti sociali.

Nell’Occasione i luoghi si trasformano in paesaggi interiori; nelle sconfinate solitudini che dilatano ossessioni e follie, quelle possibili solo nel «mare in terra» che è la pampa argentina, in una celebre definizione di Sarmiento, va in scena il dramma di chi ha ferite che ormai non riusciranno più a rimarginarsi, di coloro che «si sanno fuggitivi, fragili, irreali, misteriosi», del dubbio che logora, della gelosia che annichilisce, della vita indebolita dal sospetto, e delle proprie capacità che, da possibili fortune, si tramutano in pozzanghere nere dell’esistenza.