Poteva andare peggio ma certo non è andata bene. Perché, alle legislative di domenica scorsa in Argentina, il governo Fernández ha, sì, recuperato terreno rispetto al disastroso risultato delle primarie del 12 settembre, ma ha comunque perso la maggioranza al Senato. E se un cambio di passo, auspicato dalle forze popolari dopo la batosta, c’è stato, di certo è arrivato troppo tardi e forse in maniera non abbastanza decisa.

È di questo che abbiamo parlato con uno dei più noti e attivi dirigenti sociali del paese, il co-fondatore del Movimiento de Trabajadores Excluidos Juan Grabois, leader del Frente Patria Grande (una coalizione di organizzazioni che ha partecipato alla costituzione del Frente de Todos), consultore del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale e tra i promotori degli incontri dei movimenti popolari con papa Francesco, di cui è amico personale.

Come è possibile che tanta gente abbia di nuovo votato per la destra macrista?
Ovunque nel mondo i governi di ogni segno politico hanno dovuto far fronte a un calo di consensi a causa delle drammatiche difficoltà sofferte dai popoli durante la pandemia. In Argentina a questo si aggiunge una certa disillusione rispetto alle grandi aspettative che aveva generato il governo Fernández nel 2019, dopo la sconfitta del macrismo. Il fatto è che, oltre a dover affrontare i problemi legati al pesante indebitamento del paese, il presidente ha potuto governare solamente 90 giorni senza pandemia. D’altro canto, al di là delle soluzioni politiche offerte, è il sistema stesso a essere marcio alla radice. Per cui ci troviamo a fare spesso i conti con piccole speranze e grandi delusioni.

Cosa rimproverano al governo i movimenti popolari?
Il governo è stato deficitario sotto molti aspetti, soprattutto in termini di lotta alla disuguaglianza e alla povertà: è stato carente a livello di investimento pubblico e di spese sociali, ha trattato con tutti i riguardi il settore imprenditoriale, le multinazionali, i mezzi di comunicazione, il Fmi, si è rivelato debole rispetto al problema del debito, non ha mostrato l’efficienza e la fermezza che avevamo sperato alla nascita del Frente de Todos nel 2019.
Dopo la dura sconfitta alle primarie e la forte richiesta di un cambio di direzione da parte di un settore importante del Frente de Todos, il nostro Frente Patria Grande, il governo ha in effetti imboccato un’altra strada, ha cambiato linea discorsiva, ha ampliato un po’ l’investimento pubblico, ha sviluppato alcune linee di politica sociale. Ma non è stato sufficiente.

Cosa chiedete in particolare?
Le nostre principali rivendicazioni sono legate alla politica delle 3T indicate da papa Francesco insieme ai movimenti popolari: tierra, techo, trabajo. In primo luogo, una riforma agraria popolare che assicuri la terra a chi la lavora e consenta di invertire la logica dell’agribusiness, anche considerando che, in un paese enorme come il nostro, il 93% della popolazione è concentrato nelle grandi città, rispetto ad appena il 7% di popolazione rurale. In secondo luogo, una riforma urbana, a fronte degli oltre 5 milioni di argentini che vivono nelle favelas, in quartieri privi delle più elementari infrastrutture di base. Un fenomeno, quello dell’insicurezza abitativa, che interessa un terzo della popolazione e che dipende dal fatto che la città è diventata ostaggio del settore immobiliare. Infine, la necessità di costruire, con il necessario appoggio del governo, forme alternative di lavoro, quella che chiamiamo economia popolare. Ma, benché il 50% della classe lavoratrice si trovi in situazione di precarietà, sono finora mancate decisioni al riguardo.

E rispetto al debito ereditato dal governo Macri?
È il grande nodo gordiano del dibattito interno al Frente de Todos. In primo luogo, bisogna indagare sulla fuga di capitali verso l’estero facilitata dal precedente governo: cosa ne è stato dei 45 miliardi di dollari entrati in Argentina? Dove sono finiti? Qui la relazione non va vista in termini di creditori e debitori, bensì di truffatori e truffati. Perché noi siamo stati vittime di una truffa. Inoltre bisogna porre la questione della corresponsabilità del Fmi.

Cosa pensa del conflitto in corso in Patagonia?
Si tratta di un un conflitto storico tra una parte molto debole, quella dei popoli originari la cui preesistenza è riconosciuta dalla Costituzione, e una molto forte, rappresentata dai settori imprenditoriali che possiedono enormi estensioni di terra e hanno la forza di polizia al loro servizio. Non è vero che esistono gruppi armati in Patagonia: ci sono solo piccoli nuclei militanti di giovani poveri che realizzano azioni di resistenza amplificate e strumentalizzate dai grandi mezzi di comunicazione per generare un clima di instabilità, spesso e volentieri in periodi elettorali.

Il governo continua a promuovere un modello estrattivista basato sull’attività mineraria e sull’agribusiness. Come fare per superarlo?
Si tratta di un problema generale del progressismo latinoamericano su cui noi del Frente Patria Grande stiamo richiamando l’attenzione. Serve un’azione congiunta delle forze sociali e politiche di tutto il continente in direzione di un modello post-estrattivista. Perché, di fronte al tasso di deforestazione e ai danni provocati dall’agribusiness, risultano evidenti tanto l’irresponsabilità del settore imprenditoriale quanto la mancanza di coraggio della classe dirigente.