La diplomazia politica fa fatica a nascondere l’esplosione di uno dei conflitti più gravi fra i soci del governo spagnolo a causa della fuga del re emerito, Juan Carlos. Unidas Podemos e alleati (fra cui soprattutto i catalani di Catalunya en comú, il partito guidato da Ada Colau) sono infuriati con il Partito socialista, che ha negoziato in segreto con la Casa Reale le condizioni dell’allontanamento dell’ex monarca accusato (ma ancora non formalmente indagato) di gravi delitti fiscali.

Se lunedì notte il vicepremier Pablo Iglesias scriveva che «la fuga all’estero di Juan Carlos di Borbone è un’attitudine indegna di un ex capo di stato e lascia la monarchia in una posizione compromessa» e chiedeva che l’ex re rispondesse dei suoi atti «davanti al suo popolo» e «davanti alla giustizia», spiegando che «un governo democratico non può guardare dall’altra parte né, peggio, giustificare o salutare comportamenti che minano la dignità di un’istituzione come quella di capo di stato e che sono una frode alla giustizia», le parole più nette sono arrivate solo ieri. In mattinata, Irene Montero, ministra viola dell’Uguaglianza, chiariva che il negoziato con la Casa Reale era stato portato avanti con i socialisti, e che «certo non è stata una decisione presa dal governo», mentre la sindaca di Barcellona Ada Colau in un tweet durissimo chiedeva al presidente del governo Sánchez se il governo aveva negoziato o meno «la fuga dell’emerito, presunto corrotto».

L’ex numero 2 di Ada Colau, Gerardo Pisarello, deputato del Congresso e presidente della commissione scienza aveva tuonato che il «minimo» era «togliere all’emerito la condizione di re», «abrogare per legge la inviolabilità come carta bianca per delinquere», «abrogare la criminalizzazione della critica alla monarchia» e finalmente «aprire il dibattito su un referendum», un’idea che hanno ribadito vari esponenti viola e dei partiti nazionalisti catalani e baschi in parlamento. Il presidente catalano Quim Torra, in una conferenza stampa (dove ha evitato accuratamente di fissare una data per le elezioni anticipate catalane che aveva promesso a gennaio, quando aveva certificato lo stato pessimo dei rapporti fra il suo partito ed Esquerra republicana, alleati nel governo della Generalitat), si è subito lanciato alla giugulare di Sánchez per aver permesso la fuga di Juan Carlos e ha chiesto a Felipe VI di abdicare.

Ieri pomeriggio Sánchez in una conferenza stampa ha chiarito che «si giudicano persone, non istituzioni», che «rispetta» la decisione della Casa Reale e ha difeso «la vigenza del patto costituzionale» del 1975 che aveva instaurato la democrazia in Spagna, trasformando il monarca (eletto come suo successore da Franco) in re costituzionale. Ha negato di sapere dove si trova l’ex monarca (molti media parlano di Repubblica domenicana), ma ha detto che l’importante è che si mette a disposizione della giustizia (cosa che però Juan Carlos non ha detto, l’ha detto il suo avvocato). Infine si è fatto scudo dietro la confidenzialità dei colloqui fra capo dello stato e presidente del governo per non rispondere alle domande dei giornalisti sul ruolo del governo nei negoziati con la Casa Reale dei giorni scorsi. E ha cercato di chiudere la polemica con i soci di governo dicendo di essere molto soddisfatto della collaborazione dei partiti al governo e di sentirsi «molto orgoglioso» di ciascuno dei ministri del governo di coalizione.

Ma i fuochi d’artificio non finiranno: con tono molto arrabbiato, Ada Colau commentava le dichiarazioni di Sánchez parlando di «indignazione», «delusione» e «vergogna», così come il portavoce del gruppo parlamentare di Unidas Podemos, Jaume Asens, anche lui di Catalunya en Comú, che definiva come «deludente» la conferenza stampa di Sánchez, che dimostra, scrive «molto poco senso critico di fronte all’indegna fuga di chi fu capo di stato. I cittadini meritano che i partiti di sinistra siano all’altezza della situazione».