L’azienda capofila del programma F-35 è la Lockheed Martin, compagnia aerospaziale e di «sicurezza globale» con 120mila dipendenti e vendite nette per 50 miliardi di dollari annui. La stessa che costruisce i satelliti e le stazioni terrestri del Muos, una delle quali a Niscemi.
La «squadra» statunitense dell’F-35 comprende 1.400 industrie fornitrici e 32.500 addetti in 46 stati degli Usa. Tra i fornitori c’è anche l’Alcoa Defense, che fabbrica per i caccia F-35 elementi strutturali di primaria importanza (trasversali alla fusoliera in corrispondenza delle ali e interni alle ali).
Secondo i piani della Lockheed Martin, l’F-35 «porterà oltre 380 miliardi di dollari all’economia statunitense e altri miliardi come esportazioni». Gli interessi in gioco sono quindi enormi.

In Italia, le oltre venti industrie coinvolte – Alenia Aeronautica, Galileo Avionica, Datamat e Otomelara di Finmeccanica e altre tra cui la Piaggio – funzionano come reparti della «grande fabbrica» dell’F-35. Sotto la direzione della Lockheed Martin, che concede alle singole industrie solo il know how delle parti dell’aereo che producono: all’Alenia Aermacchi, ad esempio, quello per la produzione delle ali negli stabilimenti di Foggia e Nola (NA) e di Cameri (NO). Il know how complessivo, soprattutto quello relativo al software del caccia, resta di esclusiva competenza della Lockheed.
In Gran Bretagna la partecipazione industriale è capeggiata dalla Bae Systems, compagnia britannica largamente basata negli Stati uniti. Altre compagnie che partecipano al programma F-35 sono GE Aviation, Martin-Baker, Cobham, Ultra Electronics, Survitec, Goodrich, Rolls-Royce and SELEX Galileo.
In Turchia, la cui industria aerospaziale lavora da oltre 25 anni per la Lockheed Martin, viene fabbricato uno dei maggiori componenti strutturali del caccia ed è stata aperta una gara per ulteriori forniture.

La rete produttiva si estende anche ad altri paesi: Canada, Australia, Olanda, Danimarca, Norvegia e altri.
Si delinea così il progetto complessivo: quello di rafforzare il predominio delle industrie aerospaziali statunitensi nei paesi alleati, le cui industrie vengono integrate sotto la direzione della Lockheed Martin.

È questo un aspetto largamente sottovalutato anche tra gli oppositori dell’F-35. I favolosi guadagni prospettati comporteranno, in tutti i paesi partecipanti al programma, Stati uniti compresi, colossali esborsi di denaro pubblico che entreranno nella casse di industrie private e quindi, soprattutto, in quelle dei grossi azionisti. Si crea così una rete di potenti interessi a sostegno del progetto, in grado di influire sui governi e sui parlamenti.
Questa rete di interessi serve non solo a fini economici, ma contemporaneamente a fini politici e militari, fornendo sostegno alla strategia statunitense, assicurando che siano sempre gli Stati uniti ad avere la leadership sugli alleati. L’F-35 è quindi non solo un sistema d’arma. È uno strumento di influenza politica, economica e militare.
E quando i primi caccia F-35 diverranno operativi, sorgerà automaticamente l’esigenza di dimostrare le loro capacità in una guerra. Come è stato fatto con il Rafale francese che, non a caso, è stato nel 2011 il primo caccia a bombardare la Libia per procurarsi acquirenti sul mercato internazionale degli armamenti.