I dieci giorni del Sundance coincidono con un radicale restyling di Park City che, in trent’anni (quest’anno si festeggia l’anniversario della fondazione, quando Redford e il suo gruppo presero le redini dell’allora US Film Festival) ha vissuto un’esplosione demografica e edilizia straordinaria. Per fare posto ai 45 mila ospiti che puntualmente calano sulla Main Street, molti dei negozianti svuotano i loro locali e li affittano ad uso di lounge promozionali per prodotti vari (elettronica, abbigliamento..).

Insieme all’abituale discesa di marketers abusivi (fenomeno che Redford detesta), quest’anno partecipa al restyling della zona limitrofa alla Main Street anche lo stesso programma del festival. La sezione è quella chiamata New Frontier, l’ultima nata e sulla quale stanno investendo molto. Rispetto al lavoro sull’intersezione tra cinema e le altre arti visive fatto nei festival europei o nei musei Usa, Sundance è decisamente più indietro. Dopo l’arrivo a Park City di Banksy, nel 2010 (realizzò tre graffiti in concomitanza con la proiezione del documentario Exit Through the Gift Shop), approdano qui solo adesso la bellissima installazione di James Naren Street e quella di Doug Aitken, The Source (Evolving). Street visitabile ogni giorno tra l’imbrunire e le otto di sera, è ospitata in un angolo allestito con un grande schermo, delle panchine e dei camini portatili. Per il lavoro di Aitken (proiettato anche a frammenti prima dell’inizio di ogni film) si è invece scelta una struttura circolare trasparente, attraverso la quale le immagini filmate emanano un’aura di luce fluorescente che, rifratta dalla neve, è visibile a distanza.

Il collettivo di artisti di Philadelphia Klip Collective è responsabile invece del trailer del festival 2014 e di un’installazione dedicata al cinema indipendente che si possono vedere ogni giorno all’Egyptian Theater. In uno stanzone tutto illuminato di rosso (effetto tra la sala giochi e il peep show), sistemato dentro una piccola mall in stile Southwstern, si possono visitare una serie di altre installazioni che vanno dal pezzo interattivo optical Clouds, di James George e Jonathan Minard, a un assaggio dell’atteso videogame indipendente islandese EVE: Valkyrie al il documentario interattivo di Jonathan Harris su nove ragazze che fanno porno lesbico, I Love Your Work. L’approccio dei curatori di New Frontier è giocoso, easy, poco pretenzioso e disposto a mischiare le carte.

Uno spirito in cui ci stava benissimo la presentazione, venerdì sera nella sala strapiena della Library, di hitRECord on TV, tre episodi della serie tv che Joseph Gordon-Levitt ha adattato dal suo omonimo progetto online. Creato nel 2010 da Gordon-Levitt e da suo fratello Dan, hitRECord.org è un sito/casa di produzione che ospita oggi il contributo di oltre 300 mila collaboratori -sotto forma di film, musica, libri, dvd, spettacoli dal vivo e magliette a volontà. L’idea è quella di un progetto collettivo multimediale, fatto di frammenti che arrivano da parti diverse del mondo non in comunicazione tra di loro. Nella sua versione televisiva, proposta qui al festival, «il curatore» Gordon-Levitt, un po’ in stile conduttore vecchio stampo (solo che invece del microfono ha in mano una telecamera puntata sul pubblico), conduce la trasmissione dal palco di un grosso teatro di varietà. I contributi sono tenuti insieme da esili fili tematici. Il primo episodio, per esempio, è dedicato al numero 1 e da lì, in libera associazione, attraverso spunti diversi, si arriva a un piccolo corto sulla Pando forest – la foresta di pioppi millenari che fanno capo a un’unica radice e che si trova tra l’altro qui in Utah.

Tra gli ospiti/collaboratori, insieme a decine di perfetti sconosciuti, anche Elle Fanning, Carla Gugino e il documentarista Davis Guggenheim. A seguire la prima di Sundance, il programma tv dell’attore/regista di Don Jon (un grande successo del festival 2013) debuttava ieri sera su Pivot, il nuovo, interessante, canale per millennials, ideato dalla casa di produzione illuminata Participant Media (produttori, tra le altre cose, dell’ultimo film di Errol Morris, The Unknown Known).

Se, con la sezione New Frontier, Sundance punta a colonizzare un pubblico giovanile più abituato all’esperienza interattiva, frammentata, dei social media che alla visione da grande schermo, alle radici più profonde del festival sta la passione per il documentario. Oltre ai sedici doc in concorso, oggi c’è anche una sezione anteprime dedicata esclusivamente alla non-fiction. Lì è passato venerdì Finding Fela, il nuovo documentario di Alex Gibney dedicato al magnifico musicista/attivista nigeriano Fela Kuti. Dopo Julian Assange e Lance Armstrong Gibney affronta la figura dell’artista scomparso nel 1997, a partire dal backstage del musical FELA! creato dal librettista Jim Lewis e dal coreografo Bill T. Jones. Finding Fela è infatti, soprattutto all’inizio, meno un’esplorazione della vita e dell’opera di Fela Kuti che del processo di adattamento fatto per trasformarle in un grande successo di Broadway. Ma Gibney si fa rapidamente catturare dal suo soggetto (in Usa la fascinazione per Kuti è molto forte e da anni si parla anche di un progetto di fiction) e il film, realizzato in collaborazione con la famiglia di Fela Kuti, i suoi musicisti e i suoi manager, si sposta finalmente da Broadway anche in Nigeria. E diventa, pure rimanendo un doc biografico piuttosto tradizionale (e forse meno sentito da Gibney di quelli su Armstrong e Wikileaks) molto più interessante.