L’ultimo libro scritto da Joseph Campbell, quello a cui stava lavorando al momento della sua scomparsa nel 1987, è stato The Ecstasy of Being – Mithology and dance (New World Library, $ 24.95). Ci piace pensare che, proprio questo suo ultimo lavoro, sia stato anche un segno di grande vicinanza e affetto nei confronti della moglie, Jean Erdman, conosciuta al Sarah Lawrence College nel 1934 e che, proprio il giorno dopo averlo sposato, si era unita alla compagnia di Martha Graham come ballerina principale.

Tra le ballerine del Martha Graham Dance Company, dal 1938 al 1943, fu anche una delle prime che riuscì – e volle – incorporare improvvisazioni nelle sue performance, che aveva lei stessa ricordato anni dopo dicendo, «erano state lezioni abbastanza scioccanti, …perché a quel tempo non era considerato accettabile danzare improvvisando in pubblico, in teatro. Quello era solo per il privato, solo all’interno del proprio studio».
Con un collega della Graham Company – Merce Cunningham – aveva condiviso la creazione delle coreografie all’ Arts Club di Chicago, ed era stata una vera pioniera della danza astratta in quel momento. Aveva quindi collaborato con i più innovativi artisti del momento, compresi i compositori John Cage, Henry Cowell, Alan Hovanhess, e con gli artisti visivi come Peter Max e Paul Jenkins.

Lo storico Don McDonagh, nel suo libro The Complete Guide to Modern Dance, parla dell’ «enorme effetto» di quei ruoli di danzatori che parlano. Lui stesso aveva paragonato tutte le esplorazioni fatte dalla Erdman sul dinamismo tra parole e movimento, alle sue prime esperienze di dialogo tra le diverse discipline.

E quindi, proprio nel 1945, il New York Herald Tribune aveva recensito una coreografia di Jean Erdman scrivendo che «la sua danza attrae come un raro insieme di bellezza… non colpisce direttamente l’intelletto, né le emozioni, ma piuttosto sembra portare il suo messaggio col un suo personale sistema ondivago, che si dirige direttamente ai sensi».

E la stessa Jean parla del suo stile ‘particolare’ dicendo «sono sempre stata interessata nell’esplorare il modo in cui il linguaggio simbolico della danza riesce a indagare l’inesplorabile». E di questo, guarda un po’, ne aveva proprio discusso spesso con il marito, Joseph Campbell. Già, pare impossibile osservare la danza di Jean Erdman (scomparsa il 4 maggio del 2020) e non ritrovarsi inseriti nelle linee, nei mille capitoli dell’ideologia mitologica di Campbell, che ci racconta dell’eroe che impara, cambia, ed è sempre in viaggio.

Questo libro è dunque l’ultima raccolta di scritti sulla danza pubblicata dallo studioso americano che aveva per primo sviluppato la teoria dei percorsi intrapresi dall’eroe. Con la pubblicazione del suo primo libro infatti, quel famoso L’eroe dai mille volti in quel lontano 1949, aveva legato simboli simili e fasi differenti di miti popolari, provenienti da ogni parte del mondo, in un’unica narrazione. Temi, idee e immagini che, anche se in modo diverso, si sono sempre ripetuti in ogni angolo di mondo.

Diviso in due parti, il libro contiene nella prima parte articoli pubblicati sulla rivista Dance Observer negli anni ’40 e ’50, e la trascrizione di una sua conferenza. Proprio l’ultimo capitolo di questa prima parte, intitolato The Expression of Myth in Dance Imges, del 1978, spiega che «la varietà delle donne oggi, non è quella rappresentata nel mito e nell’arte abitualmente.(…) Le donne oggi si trovano in ruoli per cui non esistono modelli, ma (…) scoprono e realizzano i propri talenti e le proprie possibilità». Finalmente, pare rivelare quasi con un sorriso soddisfatto Joseph Campbell, la donna vuole esplorarsi non come pseudo-uomo, e neanche come una figura archetipa femminile, ma semplicemente come un individuo-donna.

E poi ci sono state nella danza moderna, «alcune rappresentanti spettacolari di una ricerca coraggiosa e femminile delle possibilità di vita (…) soprattutto nel campo dell’arte. Ed è stato un mio privilegio, in tutti questi anni, da quando sono sposato con una grande ballerina, di seguire la carriera di un numero di donne nell’avventura di creare una nuova forma d’arte, un campo d’arte totale per l’espressione e la realizzazione femminile». Ovviamente, con tutto il rispetto nei confronti degli uomini in questo campo, ma riconoscendo il valore delle «donne che hanno dominato la danza moderna nell’ultimo secolo».

Vivendo e seguendo la carriera della moglie da vicino, Joseph Campbell aveva avuto la «rara opportunità, mai avuta prima, di scrivere di Martha Graham, la cui carriera ho seguito per circa oltre 40 anni, riconoscendo in lei il modello di coraggio ed esplorazione creativa della forma, come non era mai stato fatto prima». E proprio alle Hawaii, Jean Erdman aveva continuato a seguire sia la danza hula (tipica hawaiana), che la danza di Isadora Duncan.

La seconda parte del libro consiste invece in un suo manoscritto, mai pubblicato prima, con 56 fotografie in bianco e nero e intitolato a sua volta: Mithology and Form in the Perfoming and Visual Arts.

Proprio qui, Campbell esplora come artisti del mondo occidentale, ma di diverse tradizioni, hanno tentato di portare di nuovo lo spirito mitologico nell’arte. E sono allora poeti, pittori, ballerini, che esplorano e introducono, tutti, antichi temi della mitologia nel loro lavoro. Ci parla di Picasso, di W. B.Yeats, di Michio Ito (ballerino giapponese che aveva poi creato il proprio stile coreografico sia in Europa che negli Stati Uniti), e di Isadora Duncan.

Esplora ulteriormente la danza ispirata a temi mitologici e quindi, anche quella di Martha Graham e di Jean Erdman, sua moglie, e la musica di compositori, tra cui anche John Cage. Come aveva precisato lo stesso Campbell, «in un lavoro proprio di arte, ogni elemento estetico, ha un valore psicologico, equivalente a quello di una qualsiasi idea o immagine mitologica».

La mitologia allora è una chiave per capire sicuramente meglio il linguaggio, la storia, la filosofia, l’arte. E ovviamente, la danza era un’immagine mitologica di primissimo interesse e valore. Nonostante sia spesso intesa come un’espressione di minor valore rispetto ad altre discipline, proprio la mitologia può essere letta invece in ogni evento della vita come metafora da interpretare.

In questo libro Campbell cita Isadora Duncan nei suoi scritti sulla danza. «Ci sono tre tipi di ballerini: i primi sono quelli che considerano la danza come una sorta di ginnastica fatta di graziosi e impersonali arabeschi; il secondo tipo sono quelli che, concentrando la propria mente, abbandonano il corpo al ritmo di emozioni desiderate (…); e la terza specie di ballerino, capisce invece che il corpo, con la forza dell’anima, può essere trasformato in un fluido luminoso….».

Campbell recupera qui un articolo di Esquire scritto da John Dos Pasos, e pubblicato il primo Marzo 1936, Arte e Isadora (nove anni dopo la sua morte). Proprio Dos Pasos, descrivendo Isadora, scriveva semplicemente «arte era ogni cosa Isadora facesse. Compresa quella di morire. … Un giorno, aveva lanciato artisticamente la sua lunga sciarpa intorno al collo, e offrì agli amici un saluto dicendo ‘Adieu mon amis, je vais a la glorie’» E così, tragicamente, fu.

Joseph Campbell ha raccontato quasi un secolo di arte, pittura, psicologia e mitologia, sempre riuscendo a legare ogni parte a tutte le altre. Sempre, e forse soprattutto, grazie al potere della metafora mitologica.