«All’improvviso ho scoperto il muro», dice il fotografo ceco Josef Koudelka in apertura del documentario a lui dedicato da Gilad Baram, Koudelka fotografa la Terra Santa. «Sono cresciuto dietro al muro», aggiunge però subito dopo il fotografo, diventato adulto dietro la cortina di ferro e famoso per i suoi scatti della Primavera di Praga e della repressione sovietica del 1968.
A quarant’anni esatti da quegli eventi Koudelka visita per la prima volta Israele e Palestina, dove tornerà svariate volte nel corso di cinque anni – dal 2008 al 2012 – per fare delle foto di quei luoghi, seguito dal giovane regista che testimonia il processo creativo dietro ai suoi scatti: l’osservazione, l’attesa, la ricerca della «giusta» prospettiva.

Il film, del 2015, arriva in Italia distribuito da Lab80 in collaborazione con il Trieste Film Festival: sarà nei cinema il 2 ottobre per poi venire proiettato in vari Festival (tutte le informazioni su www.lab80.it/pagine/koudelka).
Nella Terra Santa, ad accoglierci è naturalmente il muro, quello di Gaza: «Una merda – commenta Koudelka – come si fa a trattare in questo modo un paesaggio così bello?». La sua ricerca si concentra infatti proprio sul paesaggio che, come nota lui stesso, a differenza degli uomini che possono difendersi – o provarci con scarsi risultati, come i palestinesi – non ha modo di proteggersi dalle aggressioni e gli scempi umani. Protagonista delle foto che scatta non è quindi la figura umana – che entra in campo di rado, quasi incidentalmente – ma il paesaggio «sacro» offeso dall’uomo con le sue geometrie di muri, recinzioni, filo spinato, cemento grigio e addirittura un modello di città ricostruita a grandezza naturale in mezzo al deserto per le esercitazioni militari.

Parlando con Baram , Koudelka istituisce un parallelo tra la Cecoslovacchia del 1968 e la Palestina: in entrambi i casi un intero popolo desidera la ritirata dell’invasore. Ma le sue foto della Primavera di Praga e quelle della Palestina sono molto diverse: Koudelka dice infatti di non aver mai più fotografato la violenza al di fuori del suo paese. Nelle foto del paesaggio diviso di Israele e Palestina non c’è traccia del conflitto, che resta fuoricampo ma è allo stesso tempo evocato da ogni foto – di case distrutte, città viste attraverso il filo spinato, grate sui balconi delle case per «proteggere» i palestinesi dai lanci delle pietre dei coloni.

Alla paziente e meticolosa ricerca dell’immagine fatta da Koudelka – un’immagine che spesso si trova oltre i bordi della stessa inquadratura – il regista israeliano (che gli fa anche da interprete e guida nel corso dei suoi ripetuti viaggi) alterna i «risultati» di quella ricerca, le foto rigorosamente in bianco e nero che aprono nuove prospettive su quello stesso paesaggio che avevamo guardato fino a pochi momenti prima.