Il processo di riscrittura della Costituzione e la campagna elettorale per le presidenziali prosegue senza sosta. Tra chi scriverà la nuova Carta ci sarà una rappresentanza indigena salutata con grande passione dal dibattito istituzionale. José Huenchunao, importante riferimento del popolo Mapuche, già portavoce del Coordinamento delle comunità in conflitto Arauco-Malleco (Cam), ha una visuale differente su questo processo.

Cosa rappresenta la Consulta Costituente per il Popolo Mapuche?
È qualcosa di alieno per noi e ha un impostazione segnata dal governo attuale, dall’oligarchia cilena e dal sistema dominante. Non sono i Mapuche che hanno deciso di fare la consulta e non sta a noi dettare le sue linee guida. L’importante, per poter continuare con il rafforzamento delle nostre comunità, è sviluppare un nostro processo di autonomia, senza interventi esterni che devino dalle nostre richieste storiche: la tutela e il ripristino del territorio e la nostra autonomia.

Pensi che questa fase di lotte sociali nelle città possa portare cambiamenti per le popolazioni originarie del Cile?
Quando c’è lotta c’è sempre speranza che la situazione di ingiustizia, per quanto storica, cambi. Tuttavia, facendo un’analisi della situazione attuale, per come è strutturato lo stato, il sistema neoliberista minacciato dall’esplosione delle lotte sociali ma con le radici ben salde nelle varie forme di potere che determinano il Cile, possiamo vedere che i progressi che potremmo ottenere sono molto limitati se confrontati con le aspirazioni storiche dei nostri popoli. Le questioni sul territorio e sull’autonomia non avranno il giusto spazio, saranno fatte delle piccole concessioni affinchè i popoli indigeni si sentano considerati e così si darà la possibilità alle oligarchie di reprimere coloro che combatteranno contro l’inganno, il saccheggio e il genocidio coprendosi con il riconoscimento dato agli indigeni. Quello che voglio dire è che è praticamente impossibile per le istituzioni cilene, se vogliono continuare a replicarsi così come sono, riconoscere l’esistenza dello stato-nazione Mapuche.

E il cambio di presidente cosa potrebbe generare?
Un altro presidente non cambierà la situazione dei Mapuche. Sempre si è detto che la partecipazione al quadro istituzionale ci avrebbe permesso di avere un rappresentante, o un ruolo di governo con il volto di un Mapuche, la verità è che le decisioni sono prese da governi che rispondono al paradigma neoliberista del capitalismo. Fino ad ora “il Mapuche” è stato sempre e solo utilizzato, sfiancato, nonché sfruttato. Le decisioni politiche rispondono agli interessi oligarchici del paese e nel corso della storia cilena per garantire i propri interessi l’oligarchia ha utilizzato ogni mezzo necessario schiacciando a più riprese gli oppressi, così possiamo spiegare dittature, tradimenti e massacri. Per noi non c’è speranza che la condizione degli oppressi cambi solo con un cambio di presidente.

Ma esiste un dialogo tra voi Mapuche e i diversi movimenti urbani del Cile?
Sì, diverse comunità e nostre reti si sono avvicinate ai movimenti urbani costruendo forme di solidarietà, fratellanza e dialogo. È molto importante la relazione con le diverse forme di lotta presenti in città così da poter scambiare esperienze ma anche analisi politiche e ideologiche. Gli oppressi hanno il diritto di riunirsi e associarsi per sviluppare una comune lotta contro i loro nemici. I Mapuche progettano le strategie di resistenza e ricostruzione delle comunità facendo affidamento sui propri ragionamenti che a loro volta si basano sulla nostra visione del mondo, sulle nostre esperienza di vite, e sulla nostra storia. La cultura è un pilastro fondamentale per la proiezione futura della nostra nazione.