«Il nostro paese favorisce la crescita delle piccole e medie imprese, nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente. Lo abbiamo ribadito a questa Conferenza: preferiamo facilitare il loro ingresso, non quello delle grandi multinazionali predatrici». Così dice al manifesto Jorge Giordani, ministro della Pianificazione venezuelano, che ha rappresentato il suo governo alla VI Conferenza Italia-America latina e Caraibi, organizzata alla Farnesina dal ministero degli Esteri e dall’Ila. E domani, Giordani sarà a Bologna per presentare il suo libro La transizione bolivariana al socialismo (edito da Natura Avventura) in un dibattito con l’economista Luciano Vasapollo (Rete dei comunisti). Figlio di un antifascista italiano, Giordani è stato il professore di Hugo Chávez quando l’ex presidente venezuelano (scomparso il 5 marzo) era in carcere come sovversivo: per aver diretto la ribellione civico-militare del 4 febbraio ‘92 contro il governo di Carlos Andres Perez. Da allora, “il monaco” (come lo ha soprannominato l’opposizione per la sua lontananza dai riflettori), ha accompagnato la storia e la politica economica del Venezuela bolivariano, costruendone il percorso nel più stretto gruppo di collaboratori di Chávez.

Dopo 14 anni di governo e seri problemi ancora irrisolti, che bilancio fa delle politiche economiche messe in campo?

Il primo problema che abbiamo affrontato è stato quello dell’enorme debito sociale contratto con le classi popolari e con gli esclusi. Abbiamo distribuito 550.000 milioni di dollari provenienti dalla rendita petrolifera per la realizzazione dei principali diritti umani, quelli economici. Tutti gli indicatori sociali attestano i risultati raggiunti nella lotta contro la povertà, l’analfabetismo e per il miglioramento della qualità della vita del nostro popolo. Però dipendiamo ancora troppo dal modello petrolifero in un paese che possiede grandi ricchezze provenienti dagli idrocarburi, ma anche da una natura prodiga: che si estende su un territorio di oltre un milione di km quadrati e per quasi 600.000 km quadrati di acque territoriali. Siamo quotidianamente confrontati alla reazione rabbiosa dei poteri forti: perché abbiamo seguito un altro indirizzo rispetto a quello imposto dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca mondiale e dalla Banca centrale europea. Noi non licenziamo, né riduciamo le coperture sociali per far quadrare i conti dei potenti. Quale paese capitalista può dire altrettanto?

Dopo la morte di Chávez e lo stretto margine con cui Nicolas Maduro ha vinto le elezioni del 14 aprile, in molti hanno scommesso che il socialismo bolivariano non sarebbe sopravvissuto al suo leader. Qual è invece la situazione per il “governo della strada” di Maduro? 

Il socialismo bolivariano si articola in una democrazia testata in 19 tornate elettorali: tutte vinte da noi, salvo per il referendum costituzionale del 2007, perso di misura. L’ultima, ha colorato di rosso la maggioranza dei municipi venezuelani, impedendo all’opposizione di trasformare le amministrative dell’8 dicembre in un “plebiscito” contro il governo Maduro. Abbiamo vinto in 255 municipi, il 76% del totale, la destra invece ne ha vinte 75, ovvero il 22%. Chávez è morto, ma il suo lascito politico si evidenzia nel Plan della patria 2013-2019, concepito con lui in vita e ora approvato dall’Assemblea come programma di governo dell’attuale presidente Nicolas Maduro. Un programma a cui tutti i cittadini hanno potuto partecipare inviando critiche e proposte, online o mediante apposite cassette, disseminate in tutto il paese. Il Programma si articola intorno a cinque obbiettivi storici che mirano a consolidare l’indipendenza nazionale, costruire il socialismo bolivariano, trasformare il Venezuela in un paese-potenza, contribuire a una nuova geopolitica internazionale e alla difesa del pianeta, gravemente minacciato dall’irrazionalità degli esseri umani. Obiettivi che implicano la difesa della democrazia venezuelana, articolata nella costituzione del 15 dicembre’99. Allora, i cittadini l’hanno approvata con il 71,78% dei voti.

Questa VI Conferenza ha ribadito l’interesse del governo italiano per l’America latina, in crescita rispetto all’Europa in crisi. Il sottosegretario Mario Giro ha proposto «un’agenda oltre la crisi per un partenariato allo sviluppo». Qual è la risposta del Venezuela bolivariano?

Noi rispettiamo le decisioni autonome dei governi e soprattutto dei popoli, anche quando esistono differenze nei modelli di sviluppo. Il capitalismo vive una crisi strutturale che fa pagare ai popoli con guerra e barbarie. Il nostro modello mette al primo posto l’essere umano, non il profitto dei singoli. In quest’ottica e sulla base di relazioni di reciproco beneficio che però vada a vantaggio della collettività, c’è spazio per la collaborazione tra unità produttive: nel quadro della costruzione di un’economia sociale basata, tra le altre opzioni, sulla proprietà collettiva comunale. Concluderemo accordi con quel tessuto produttivo italiano che resiste all’attacco delle grandi imprese monopolistiche e multinazionali e che non si sente a disagio in un modello politico come il nostro: inclusivo, indipendente e sovrano».