Tre anni prima della morte, avvenuta in circostanze misteriose (lo scrittore camminava sul ciglio dell’autostrada A94 vicino a Monaco), Jörg Fauser riepilogò la sua esistenza trasferendola all’alter-ego Harry Gelb, protagonista di Materia prima (edito dall’Orma nella vivace traduzione di Daria Biagi, pp. 244, €16,00), un libro uscito nel 1984. Con toni picareschi descrive un itinerario in cui spesso le avventure prevedono viaggi oltre le porte della percezione.
Il titolo originale, Rohstoff, allude esplicitamente alla «roba», di cui ha cominciato a fare uso nell’ospedale per malati terminali di Heidelberg, dove aveva preso servizio, essendosi rifiutato al servizio militare. Non per caso ha uno speciale rilievo nella tessitura del libro l’incontro con William Burroughs, intervistato per una rivista underground a Londra.

Il sacerdote dell’era tossica offre al narratore un consiglio prezioso (e presto messo in pratica): uscire dalla necessità della droga per mezzo dell’apomorfina, farmaco su cui ha scritto una pubblicazione, discriminata dalla comunità scientifica.
La prima scena però è a Istanbul, dove insieme all’amico pittore Ede il protagonista condivide un tugurio in cima a un albergo, da cui può ammirare la Moschea Blu, trovandosi a comoda distanza dalla zona di Tophane in cui fioriva lo spaccio di oppio. A quel quartiere è intitolato il secondo libro di Fauser, uscito nel 1972, che in questa scrittura prende il titolo di Stamboul Blues, in cui narrava il suo complesso passaggio «dall’ago alla penna».

L’autore ha cominciato a scrivere come giornalista a sedici anni, cambiando poi numerosissimi lavori per «porre mano a un paio di capolavori immortali» e supportare il suo stile di vita. Come in un classico romanzo di formazione, l’eroe Harry Gelb si incrocia con tutti i possibili spazi della contestazione. Passa da comuni maoiste, a disco malfamate che gli chiedono di realizzare una rivista «per i giovani» dal titolo Zero (una delle parti del libro contrassegnata da maggiore felicità narrativa, esilarante), dai luoghi dei tossici, alle taverne degli anarchici, dove si trovano personaggi come Speedy, che vive in attesa di Andreas Baader, suo messia personale. Nella realtà dei fatti, questi gli ha solo offerto una birra una sera, prima di entrare in clandestinità, ma tanto è bastato per accendere in lui una devozione a tutta prova.

Tra tentativi di sceneggiatura di film d’avanguardia, infiniti articoli sul mondo della droga, alla fine Gelb, precipitato in un lontano sogno d’amore, beve a lungo in osteria, ma non ha i soldi per pagare. Si ritrova malmenato e buttato sul marciapiede, a osservare un filo d’erba che spunta in una crepa del cemento e a commentare: «se è così, puoi rimetterti in piedi anche tu».