Boris Johnson è in terapia intensiva, in seguito a un ricovero per Covid-19 avvenuto domenica da domenica sera nell’ospedale londinese St. Thomas. A una decina di giorni dal tampone positivo, continuava ad avere febbre. E per tutto il paese la situazione non va meglio. Siamo di fronte a  un’escalation in drammaticità. Le vittime a ieri sera erano 5.373, 51.608 i contagiati.

Il premier – poco prima di peggiorare – non aveva presieduto la riunione dell’unità speciale anticrisi denominata Cobra, lasciandolo fare al ministro degli Esteri e suo vice Dominic Raab, un karateka che fa anche l’uomo politico (manca l’MI5 e sarebbe come Putin).

Ci s’interrogava – non a caso -su che senso avesse per la salute di Johnson questo ostinarsi a voler dirigere un paese mentre si combatte un malanno potenzialmente fatale, ma anche quanto nefasto possa rivelarsi per il paese stesso tale lodevole proposito in un momento di difficoltà vieppiù spaventosa.

La risposta è ovviamente che solo un mese fa Johnson era in cima al mondo, con una rotativa di carta bianca per giocare al piccolo isolazionista (Cit. Labranca) mentre ora anche il palloncino Brexit giace sgonfio in un angolo della cameretta. E l’idea che Raab possa sostituirlo, giustamente, terrorizza non solo lui.

A rassicurare la nazione sgomenta ci ha pensato ancora una volta la vegliarda, dal tinello del felice maniero (Windsor) e in un messaggio straordinario alla nazione: il quinto dei suoi interventi extra-natalizi in n anni di regno.

Nonostante la vita di stenti, affrontati nell’infaticabile, duplice servizio alla nazione come alla disuguaglianza universale, è apparsa in splendida forma. Niente Skype o Zoom o simili diavolerie per lei, nessun corgi sullo sfondo che rovesci in diretta il vaso Ming o marchi il territorio su un arazzo fiammingo, bensì un sobrio e novecentesco collegamento tv.

Lavorare duramente al proprio ozio è uno splendido slogan situazionista e la 94enne Elisabetta, che fa rima con perfetta, oggi sarebbe piaciuta anche a Guy Debord. L’erede Charles si è ristabilito, pare grazie alla medicina ayurvedica, vedi a cosa servono le ex-colonie.

Sul fronte dell’alternativa, il neoleader laburista Keir Starmer ha sguainato il nuovo governo-ombra. Puntuale l’abbattimento del corbynismo residuale, anche se alle due rivali Long Bailey e Nandy ha cavallerescamente dato il dicastero della pubblica istruzione e degli esteri, in importanza rigorosamente proporzionale al loro moderatismo.

Alla pro-secondo referendum Emily Thornberry, anche lei alleata col naso turato di Corbyn, va il commercio internazionale. La notizia «significativa» è il ritorno di Ed Miliband, ectoplasma politico che, precedendo Corbyn alla leadership, ne aveva disperatamente accelerato l’inevitabilità.

È pur sempre preferibile al pernicioso fratello David, pasdaran blairiano autoisolatosi da qualche anno a New York con un fantastico incarico pseudo-espiatorio che fa venir voglia di urlare (guida una ong che porta aiuti nelle stesse zone che ha contribuito a destabilizzare quando era ministro degli Esteri) e già suo contendente alla leadership anni fa.

E dire che il padre Ralph era uno dei due o tre intellettuali di rilievo in un partito (e in un paese) che considera l’appellativo un insulto.

Chiudiamo con un altro titolato eccellente nella compagine Sir Keir, il primo leader Labour «baronetto» (come avrebbe scritto Sandro Paternostro) della storia. Si tratta di un amico e complice di Blair, Charles Leslie Falconer, Baron Falconer of Thoroton (sic), nominato shadow Attorney General.

Che gli stessi tories abbiano negli ultimi anni avuto la dignità di non eleggere araldici relitti tra i propri leader dovrebbe far riflettere.