Ogni mattina si sveglia, armeggia su una drum machine per tirare fuori un bel groove per una canzone, poi cancella tutto e ricomincia da capo finché non si rompe, e quando si rompe accende la tv. A raccontare la sua giornata tipo è Johnny Dowd, settantunenne texano di nascita ma da tempo domiciliato a Ithaca, stato di New York, che segue personalmente il lancio del suo ultimo disco come la nascita di un figlio. Il ventiquattresimo, tra album, cassette e dischi live, misconosciuti tesori di un’incredibile carriera trentennale, cominciata vagando nelle lande desolate del Sud, per poi arrivare nel ’79 nella cittadina dal nome greco. Esordisce come musicista nel ’98 con Wrong Side of Memphis, caleidoscopio sonoro di ballate smozzicate, murder songs sibilanti, nenie ossessive e blues narcolettici.

ESATTAMENTE lo stesso condimento in salsa lo-fi dell’ultimo Family Picnic, che trasuda, parole sue, «di amori non corrisposti, ammazzamenti, cazzeggi, walzer claudicanti e ritmi boom chuck boom». I testi, spesso strascicati, sono uno spasso, pura poesia dada e humor macabro e straziante. «Dovevo scrivere canzoni che la gente potesse canticchiare attorno al fuoco mentre si arrostiscono marshmallows», spiega lui. Vita di provincia, lontano anni luce dai lustrini mainstream, brindando, definitivamente, alla morte del Sogno Americano: «Non sono molto sicuro su cosa fosse, ma presumo che sia morto o stia morendo. E credo di esserne in parte responsabile», sogghigna Dowd. In una terra abbandonata da Dio (o, per assurdo, fin troppo frequentata) lo humor nero di questo cantore del Gotico Americano sembra l’ultima salvezza in un mondo che affonda. «Ma non sono sicuro di avere ancora tante canzoni da raccontare. Per questo disco ho dovuto scavare a fondo. E ho fatto un salto nel passato. È difficile scrivere qualcosa che non sia il passato».