Raramente succede di riuscire a spiare il percorso di formazione di un grande scrittore con la precisione permessa dai tredici racconti di John Cheever riediti nella raccolta Birra scura e cipolle dolci (traduzione di Leonardo G. Lucone, Racconti edizioni, pp. 200, euro 17.00).

Pubblicati su varie riviste tra il 1931, quando Cheever aveva diciannove anni, e il 1942 con l’aggiunta di un solo testo del 1949, questi racconti non erano mai usciti in volume sino al 1994, dodici anni dopo la scomparsa dello scrittore. Benché siano le primissime prove di Cheever, il loro interesse non è esclusivamente storico, perché si presentano già come opere compiute, nelle quali è facile rintracciare alcuni motivi ricorrenti: il ricorso alla natura per illustrare gli stati d’animo, il disinteresse per il plot, la cura e la precisione nei particolari.

Il tracciato esibito da Cheever in questi racconti è duplice: da un lato si vede all’opera uno scrittore di eccezionale maturità e con uno stile definito sin dall’esordio. Dall’altro si lasciano ritracciare le diverse influenze proprie agli scrittori della sua generazione: l’essenzialità di Hemingway sostituita poi da quella di un autore a Cheever più affine, Scott Fitzgerald.

Ciò che lo scrittore non aveva ancora messo a fuoco era il mondo che avrebbe raccontato e rivelato nella maturità, quello della middle-class americana a metà del secolo scorso. I racconti dell’esordio sono invece ambientati nell’America della Depressione e nel mondo delle corse dei cavalli, dove la mondanità si incontrava con i giocatori d’azzardo. Sono contesti che il giovane Cheever conosceva bene e che usa per raccontare e insieme trascendere una specifica fase storica, mettendone in rilievo le componenti universali. Non ancora un maestro, Cheever è comunque qui già uno scrittore di talento.