« In Italia, sono un maestro dell’horror. In Francia, un autore. Negli Stati Uniti, un fallito ». Sempre sintetico, John Carpenter taglia corto anche sulla sua carriera cinematografica, per la quale, primo regista di cinema di genere, è stato premiato con ‘le Carrosse d’or’ alla Quinzaine di Cannes, dopo Scorsese e Eastwood. Nell’arco di trent’anni, dal ’74, una ventina di film, quasi tutti di culto, almeno per le platee europee, da Distretto 13 ai leggendari Halloween, 1997 Fuga da New York, La cosa (riproposta alla Quinzaine in omaggio al ‘maestro-autore-fallito’), Fog, Il seme della follia, Vampiri : quasi tutti, alla prima uscita in sala, snobbati dalla critica o dal pubblico, poi regolarmente rivalutati e mitizzati nel tamtam degli internauti, nelle ridiffusioni tv in Usa (dove nel ’79 Carpenter ha battuto Via col vento) e nelle riedizioni in dvd, tipo il reverente cofanetto Blu-ray con Halloween e la ventina di sequel che l’autore s’era solo degnato di co-sceneggiare: « È stato un modo per vivere di rendita con i diritti: a ogni sequel, un bel gruzzolo – sorride il regista, 71 anni, felpa grigia tirata al gomito, il pagliaio di capelli ormai candidi raccolti a codino sotto l’immancabile berretto a visiera dei cineasti Usa in trasferta, i folti baffi che spiovono sul volto affilato –. Per me è stata la seccatura, ogni volta, d’un paio di notti di lavoro. Mi davo la spinta con boccali di birra, molto creativa : la Budweiser, se ben ricordo. Fa spumeggiare le idee, evitandoti la sbornia ».

Come un eterno cinema-zombie, i film di Carpenter, sostentuti dal proliferare planetario di fans’ club, vivono una continua rigenerazione nei remakes, dal nuovo Fog di Wainwright, prodotto dallo stesso Carpenter nel 2005, ai due ritorni di Halloween, firmati Rob Zombie ( !), nel 2007 e 2009, fino a un immaginoso prequel, nel 2011, di La cosa. Senza contare le parodie, altra prova di popolarità: Christine in Scary Scream Movie, Il villaggio dei dannati nell’episodio Sbartacus dei Simpson 11a stagione e l’eterno Halloween strapazzato in almeno quattrocento ammicchi tra cinema e tv : « È quella che con qualche autoderisione ho battezzato John’s Revenge (‘Carpenter : la vendetta’) : all’epoca non vi andavo giù, ora non potete più fare a meno di me … ».

Sarà pure un ‘fallito Usa’, ma lei detiene, a Hollywood, un record : il più grande successo al botteghino d’un film indipendente.

È vero, Halloween era costato, nel ’78, 325.000 dollari, incassandone 47 milioni in Usa e 70 nel resto del mondo.

È anche diventato il giro di boa di innumerevoli ‘copie’, come Venerdì 13, e omaggi, dal Freddy Krueger al primo Scream di Wes Craven.

Ah, Wes ! Un grande : era spiritoso, un abilissimo stratega dell’horror, di cui si è divertito negli ultimi titoli a rivelare le ricette, terrorizzandone al tempo stesso gli apprendisti-stregoni.

Scream è un continuo rimando al suo cinema, non trova ?

Sì, le ‘istruzioni per sopravvivere in un horror’ son ricavate da Halloween, che la prima vittima ha già indicato come suo film preferito. E per i cultori del genere, inevitabile la risata quando una ragazza confida che la storia che stanno vivendo le ricorda un film di ‘Wes Carpenter’…

Un pastiche nome-cognome reso più comico, in Europa, dall’assimilazione popolare del suo cinema alla Horror Trinity : Craven, Carpenter, Cronenberg. Perché, in Usa, è stato espunto dal clan delle ‘tre C’ del terrore ?

Questione di soldi. Hollywood mi ha messo da parte ogni volta che mi ha giudicato incapace di girare film per il gran pubblico, cioè dagli incassi paperonici. Di questa sfasatura non ho mai capito il perché : se non in un caso.

Quale ?

La cosa. Per la prima volta disponevo d’un budget vicino agli standard hollywoodiani, 15 milioni di dollari. Anziché ricorrere al mio consueto bricolage al sintetizzatore, mi ero permesso il lusso, da appassionato di western e dunque di Sergio Leone, di chiedere le musiche a Ennio Morricone : molto prima di Tarantino, che in The Hateful Eight ricalca il mio film (cui aveva già reso omaggio nelle Iene), riprendendo temi rimasti inutilizzati di Morricone. Ma La cosa, uscito nell’82, fu accolto malissimo : troppo terrificante, troppo pessimista. Tutta colpa di Spielberg.

Cioè ?

Negli stessi giorni era uscito E.T., altro film su vite extraterrestri, ma accattivante, positivo. Confronto micidiale, rispecchiato dal box-office : Spielberg al primo posto, io al quarantaduesimo, con incassi appena di rattoppo. Scacco bruciante per me, convinto d’avere sfornato il mio film migliore.

Che oggi, puntualmente, è venerato come suo capolavoro. Ma lei aveva reagito subito, con un anticipo di John’s Revenge : il sognante Starman. Con Jeff Bridges messia dello spazio ?

È il mio titolo più hollywoodiano, una specie di E.T. adulto. L’avevo girato per porgere le scuse agli Studios. Starman è stato un mea culpa,  come per dire : vedete, son capace anch’io di confezionare un film gentile e romantico.

C’è stata un’altra deviazione dalla sua horror-ortodossia : Elvis, perla musicale sul re del rock’n’roll. Perché Presley e solo Presley ?

Perché era ‘the King’ e ha continuato a esserlo dopo la morte. Aveva un carisma speciale, una voce unica. Ha saputo rimettere insieme blues, gospel e country. Dopo quel mio telefilm del ‘79, mi han chiesto un’altra biografia musicale, sui Beatles, ma ho rifiutato. Non perché non li ami, ma la loro storia – almeno quella collettiva – non è così appassionante come l’avventura umana di Elvis.

La musica è un punto di forza del suo cinema : cruciale puntello del terrore ?

È l’espressione artistica più diretta. Quando le singole parti d’un film sono montate, la musica è l’intonaco d’emozione pura che le salda insieme. Perciò, con un paio d’eccezioni, son sempre io che compongo la colonna sonora : se mi chiede perché, le rispondo che sono il più veloce, il più economico e… vado d’accordo con il regista. È stato mio padre a iniziarmi alla musica : era un violinista classico, ma partecipava pure a sessioni rock e country a Nashville. Son cresciuto avvolto da ogni genere di musica. E fin da piccolo ho cominciato a suonare : violino, pianoforte, ma soprattutto basso. Pensi che il successo di Halloween pare sia dovuto al tema musicale : un hit, poi imitatissimo, che più semplice non si può, basato su una ritmica 5/4 (cinque tempi in una misura) che mio padre m’aveva insegnato al pianoforte da bambino. L’ho eseguito di nuovo, combinando svariati effetti sonori. Perché ancor oggi non so scrivere una sola nota.

Da tempo ha esteso la sua passione musicale oltre lo schermo, con la formazione d’un gruppo rock.

Sì, ‘The Coupe de Villes’, ma non si aspetti dei professionisti. Siamo il trio della canzone di Halloween e di quella dei titoli di coda in Grosso guaio a Chinatown, dove oso anche cantare : gli altri due sono amici, miei cine-collaboratori da sempre, Nick Castle e Tommy Lee Wallace : 33 anni fa abbiamo, un po’ per scherzo, anche inciso un album, Waiting Out The Eighties. Più seriamente, ho composto la musica d’un videogame del ’98, Sentinel Returns. Adoro i videogame : vi gioco di tanto in tanto con mio figlio, John Cody. Ne ho anche sceneggiato uno, FEAR 3.

Come mai non c’è stata subito un’esclusiva dedizione musicale ?

È stata mia madre (insieme ai fumetti d’orrore, che divoravo) a controbilanciare la mia infanzia, aprendomi fin dai primi anni al mondo del cinema, dove mi portava regolarmente. Già da piccolo avevo fatto le mie scelte, l’horror e il western, primi in classifica Il pianeta proibito e Un dollaro d’onore. Ragazzino, mi sentivo regista arrivato. Giravo filmetti in 8mm con la cinepresa che, un po’ controvoglia, m’aveva regalato mio padre : titoli raccapriccianti, Gorgo vs Godzilla (altro che Superman vs Batman…), Stregone d’un Altro Mondo, Il Demone e il Guerriero… E a 22 anni, il primo, e ultimo, Oscar : per il miglior corto, The Resurrection of Broncho Billy, realizzato con i compagni d’università in California.

La John’s Revenge viaggia ora sulle note ?

Ho fatto un tour europeo, con i brani del mio primo lp professionale, Lost Themes, di 4 anni fa : inediti strumentali, nello stile dei miei film, sintetizzatore e metronomo, ripetitività minimalista che arroventa la tensione. Se negli Usa son divenuto uno zombie del cinema, chissà che l’Europa non mi resusciti con la musica.

Ma il cinema : una pietra sopra ? Nell’88 Essi vivono era stato una horror-metafora dell’era Reagan. Oggi Donald Trump non è abbastanza horror da meritare un suo film ?

È più che horror : è un grave, reale pericolo. L’horror è la folla che gli fa ala e l’acclama. Com’è successo e succede, con altri, anche da voi in Italia, in Europa. Essi vivono per me non era un horror, ma un documentario : la realtà è spesso più spaventosa degli horror.