«Asciugare». Così, nell’incontro che ha seguito la proiezione stampa, Joel Coen ha descritto l’impulso dominante di The Tragedy of Macbeth, il suo ultimo film (il primo non in collaborazione con il fratello Ethan), che ha aperto venerdì sera il New York Film Festival. Dopo un anno virtuale, l’edizione 2021 della manifestazione newyorkese torna in presenza, con una combinazione di proiezioni in sala, all’aperto e in cinema indipendenti fuori dalla città. Girato, da Bruno Delbonnel, in austero, folgorante bianco e nero, l’inquadratura compressa nel formato 1:33, i set stilizzati in stile espressionismo tedesco, interamente ricostruiti in un teatro di posa di Los Angeles, quest’ultimo adattamento dello «Scottish play» shakespeariano sembra una scelta ideale per inaugurare il festival diretto da Dennis Lim – un mix di teatro (con Broadway che ha riaperto ufficialmente solo la settimana scorsa) e cinema «alti» (Welles, certo, e Kurosawa. Ma anche Dreyer e Murnau), grandi attori (a partire dal duetto dei protagonisti, Denzel Washington e Frances McDormand) e del noir freddo e moderno a cui ci ha abituato il cinema dei Coen.

Anche in solitaria e senza la tipica sfumatura beffarda, Joel lavora su temi che attraversano gran parte della filmografia dei fratelli del Minnesota – sangue, tradimento, crimine, gusto per il paradosso, una grande fascinazione per la lingua (lo script è molto fedele al testo originale, asciugato però anche lui).

SE SI POTEVA pensare che l’idea di questo adattamento sbocciasse dalla lunga collaborazione dei Coen con il produttore teatrale newyorkese Scott Rudin (scomparso dai credit di questo film – e di tutto quello che aveva in lavorazione – dopo essere stato travolto da uno tsunami di accuse di bullismo), alla conferenza stampa abbiamo scoperto che, in realtà, il germe di The Tragedy of Macbeth è stata Frances McDormand. «La scena di Lady Macbeth sonnambula è quello che mi ha fatto scegliere di fare l’attrice. La recitavo da sola, a quattordici anni», ha spiegato lei. In passato aveva chiesto più volte a Coen, che è anche suo marito, di dirigerla per il palcoscenico (dove ha interpretato Lady Macbeth nel 2016) ma lui aveva sempre risposto no.

«Il teatro è un medium diverso dal cinema e il mio cinema è ancorato a idee molto precise sulla posizione della macchina da presa. Si tratta di un linguaggio intraducibile sul palcoscenico. Ho deciso di fare questo film quando ho capito che poteva farlo senza abbandonare la nozione di dramma teatrale», ha detto Coen, che ha lavorato sull’astrazione, in direzione diametralmente opposta alla recente trasposizione naturalistica e frontale, dello stesso testo fatta da Martin Kurzel, con Michael Fassbender nel ruolo del re di Scozia e Marion Cotillard in quello di sua moglie.

I SET GEOMETRICI, che a tratti suggeriscono linee di fuga e orizzonti infiniti (come quelli di Aurora, una grande ispirazione, secondo Coen), l’uso wellesiano, psicologico, delle ombre e delle architetture (più Otello che Macbeth, però), e la splendida colonna sonora di Carter Burwell (iper-suggestiva e astratta anche lei) «inquadrano» la storia e, allo stesso tempo, liberano la recitazione degli attori.

Frutto di numerosissime sessioni di lettura (questo è uno dei suoi film dalla gestazione più lunga, ha raccontato il regista; spiegando anche che ai reading erano invitati tutti gli interpreti, anche quelli che non erano nella scena del giorno), il lavoro di McDormand e Washington è ispirato, ricco di trasporto e delicatissimo, anche nel progressivo crescendo verso la follia. Nella loro interpretazione, il testo diventa abitato da dentro, più che recitato. E il fatto che entrambi gli attori non siano più giovani sposta l’accento sulla dimensione tragica, espressa anche nel titolo, colorando di tristezza ulteriore quella che Welles aveva definito «la decadenza di un tiranno».

Al loro fianco, Bertie Carvel (Banquo), Brendan Gleason (Duncan), Harry Melling (Malcom), Corey Hawkins (McDuff) e l’attrice inglese Kathryn Hunter (una delle streghe), che usa il suo corpo come un origami che si apre e chiude davanti ai nostri occhi, punteggiano le scene di accenti diversi, ogni tanto in contrasto tra loro, il che contribuisce all’energia contemporanea, vitale, del film.

ACCOLTO da una prima tornata di recensioni entusiastiche, The Tragedy of Macbeth arriverà nelle sale statunitensi il giorno di Natale. Le proiezioni del New York Film Festival continueranno fino al 10 ottobre (The Power of the Dog, di Jane Campion è il film «centerpiece», Madres Parallelas di Almodóvar quello di chiusura). Un omaggio speciale, articolato nelle prossime settimane anche in altri cinema di New York, è previsto per il centenario del critico, regista e fondatore del Nyff, Amos Vogel.