«Era semplicemente unico, sarà impossibile riempire il vuoto che lascia nei nostri cuori». La notizia della morte di Joe Cocker, 70 anni, per un carcinoma ai polmoni, arriva in serata, per voce del suo agente Barrie Marshall alla Bbc. Il leone di Sheffield, una delle voci per eccellenza del rock ma più propriamente soul blues è stata sin dagli esordi una scossa violenta e emozionante, una sorta di graffio forte che arrivava dritta al cuore del pubblico. Ma Joe Cocker è stato, soprattutto, un grande interprete capace come pochi di riprendere una canzone già famosa trasformandola in «una sua creatura», regalandole una nuova connotazione e anima.

Certo la carriera di Joe è stata complicata almeno fino agli anni ’80, prima è stata un saliscendi di successi travolgenti e tonfi fragorosi, discese ardite e risalite per dirla alla Battisti. Stella indiscussa di Woodstock appena due anni dopo nel tour mondiale che seguì uno dei suoi capolavori Mad Dogs and Englishmen (1970), si aggiunge al lungo elenco di star finite nel vortice della depressione lenita dall’alcol e dalle droghe, fino al ritorno nei primi anni ’80 e il successo – che a quel punto non lo abbandonerà più. Gli inizi non sono certo facili per Joe, una gavetta lunga nei locali avara di soddisfazioni tanto da farlo tornare al suo vecchio lavoro da idraulico a Sheffield, la città in cui era nato il 20 maggio del 1944. La svolta porta una data, un album e un luogo. È il 1969 quando dà alle stampe With a Little help from My friend, il disco che porta il titolo del celebre pezzo dei Beatles che appena due anni prima era stato inserito in uno dei lavori di culto dei quattro baronetti: Sgt. Pepper’s lonely hearts club band. Joe ne dà una versione strabiliante; alla coralità e alla ricca armonia che caratterizza la canzone dei Beatles, sostituisce una forza e una grinta tanto da renderla quasi irriconoscibile. Quel brano presentato durante la «tre giorni di pace amore e musica di» Woodstock sarà il suo lasciapassare per il successo. L’urlo lancinante prima della ripresa del pezzo resta impresso a distanza di 45 anni. Così come il volto sudato, la postura con le braccia ciondolanti e lo stomaco fuori – che diventerà il suo marchio di fabbrica – sapranno conquistare il pubblico.

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Anche l’America ne resta folgorata, John Belushi di quell’inglese con gli occhi spiritati farà un’imitazione spassosissima in una delle stagioni del Saturday night live. Con il successo arrivano i dischi in classifica in cui affina sempre più le sue qualità di interprete puro. Nell’album eponimo che esce un anno dopo trovano spazio ancora due brani dei Beatles, ma a spiccare è soprattutto la rilettura di Bird on the Wire di Leonard Cohen. È anche l’album dell’incontro con Leon Russell, uno dei maestri del crossover tra musica bianca, soul e rhythm and soul, che proprio con il leone di Sheffield toccherà uno dei punti di alti. Sempre nello stesso anno arriva uno dei capolavori della sua carriera – il doppio live Mad Dogs and Englishmen, una band da mille e una notte, una capacità di tenuta sul palco testimoniata anche dal documentario, e un repertorio che si arricchisce di altre rivisitazioni, come HonkyTonk Woman o Give peace a chance.

Repentino però è il declino, i fantasmi della tossicodipendenza ad ossessionarlo, i tour interrotti e i dischi di maniera incisi più per obblighi contrattuali, fino alla rinascita, dopo una lunga riabilitazione, con un lp simbolo della sua «nuova» carriera. Sheffield steel (1982) – prodotto da Sly e Robbie – ha un suono perfetto, tanti ospiti – Jimmy Cliff, Adrian Belew, Robert Palmer, e soprattutto regala una certezza: la voce si mantiene ancora su livelli di eccellenza. È l’inizio di una nuova scalata, nello stesso anno – insieme a Jennifer Warnes incide il tema di Ufficiale e gentiluomo, Up Where We Belong il tema il film con Richard Gere, e torna primo negli Stati uniti. Il pezzo è un po’ sdolcinato ma per la causa questo e altro.

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E quattro anni dopo è il diluvio: Cocker arriva nei negozi con una sequenza di canzoni soul rock blues di livello (Shelter Me su tutte) ma resterà nella memoria collettiva per la ripresa di un brano di Randy Newman, scritto quattordici anni prima senza particolare esito. È You can Leave your Hat on sulle cui note Kim Basinger improvvisa lo spogliarello più celebre della storia del cinema nel film 9 settimane 1/2. Un successo che al contempo diventa anche la sua gabbia artistica: il pezzo diventa infatti la colonna sonora di qualsiasi numero sexy di centinaia di show televisivi. Ma Joe ormai ha capito come va il mondo e se ne fa una ragione, inciderà ancora diversi album, pubblicando numerose antologie, mantenendosi sempre su livelli più che decorosi. Organic (1996) è ancora oggi una delle sue raccolte più riuscite, tredici pezzi al solito assortiti fra inediti e riletture (Dylan, Morrison, Wonder) sotto la produzione impeccabile di Don Was. E poi tanti tour, almeno fino a quando la malattia glielo ha consentito.