Joe Bonamassa ritratto come uno degli eroi della Marvel, campeggia in bella vista sulla copertina del nuovo disco dal titolo Live at the Greek Theatre [Mascot Label Group]. Una registrazione eseguita dal vivo nell’agosto del 2015 a Los Angeles, dove il chitarrista statunitense, omaggia i tre «re» del blues, vale a dire Albert, B.B. e Freddie King. La pubblicazione include ben ventiquattro brani, che a seconda del formato in cui li si voglia acquistare, sono disponibili sia in blue-ray, che in cd e vinile, arricchite anche da supporti video di vario genere, alcuni dei quali includono retroscena e interviste familiari di un ancora adolescente Bonamassa.

Circostanze che vale la pena di sottolineare, oltre che per la soddisfazione dei collezionisti più incalliti, per il valore di rappresentanza artistica, commerciale e mediatica che il chitarrista nato dello stato di New York rappresenta. Il musicista ad oggi è indiscutibilmente il numero uno del blues mondiale in termini di notorietà, vendite e risonanza planetaria. Situazione sostenuta tra l’altro da una forte presenza sui social, anche in termini numerici. L’industria Bonamassa è quindi un’azienda florida e in piena attività. Al punto tale che questo live arriva a distanza di pochi mesi dall’ultima fatica da studio, il soddisfacente Blues of Desperation. Ineccepibile il contenuto musicale offerto nell’esibizione al Greek Theatre: una band stellare, presente il sempre più bravo chitarrista Kirk Fletcher, accompagna il leader lungo questo viaggio attraverso le incisioni dei tre bluesmen sopra citati.

Fuoriclasse Bonamassa che a voce e chitarra non sbaglia un colpo, navigando lungo le storie afroamerican delle icone musicali a cui tributa il suo omaggio. Di Albert King suona una ottima e muscolare Feel like breakin’ up somebody’s home, di Blues Boy King esegue una quasi funk Never make your move too soon e dal repertorio del texano Freddie interpreta con grande feeling il classico Lonesome whistle blues. Incisioni perfette così da percepire come lo statunitense interpreti a meraviglia i tre diversi stili proposti. Appare quasi una scienza esatta il risultato finale, al punto tale che Bonamassa suona con gli stessi modelli di chitarra dei suoi eroi.

Ed è propria questa prossimità alla fedele riproposizione che stimola qualche considerazione. Bonamassa da circa quindici anni edita praticamente un disco all’anno, mantenendo tassativamente un livello altissimo che gli ha permesso a ragione di divenire il primo della classe. Entrando come nel caso di Live at the Greek Theatre nel filone derivativo che porta alla riproposizione di mondi sonori già noti. Anche l’estetica dell’esibizione sul palco, in ogni sua declinazione, è piegata a questa logica. La somma di questi elementi mette in un luce l’unico, vero limite del disco: una certa assenza di calore, limite strutturale del giocattolo troppo perfetto dell’artista.