A dar retta alle classifiche «di qualità», sbilanciatissime verso autori che hanno dei codici fiscali per cognome e libri composti da una sola interminabile frase, spesso il fascino dei romanzi che ci piace apprezzare si cela nella nostra incapacità di comprenderli appieno. Quando ci si palesa una chiave di lettura, o quantomeno ci pare di capire qualcosa, di venirne a capo, allora, di schianto, pèrdono ogni tipo di rilevanza e incanto e sentiamo esultare le nostre meningi. Insomma, se l’abbiamo capito noi non può poi essere così bello.

È UN RAGIONAMENTO in cui il lettore di 1982 Janine di Alasdair Gray (traduzione di Enrico Terrinoni, Safarà editore, pp. 361, euro 21) potrebbe ritrovarsi. Si tratta di un tour joyciano e piuttosto grafico nelle nemmeno poi troppo licenziose fantasie sessuali della psiche di Jock McLeish, un erotomane dall’immaginario estremamente novecentesco che, chiuso in una stanza d’albergo a Greenock, inscena le sue fantasie giocandoci come un bambino.

Sarà una delle molte presenze femminili evocate nello zigzagante peregrinare della mente di Jock a istituire il parallelo presente in tutte le pagine fra politica e sesso. L’editor Sontag – un chiaro riferimento alla Susan autrice di L’immaginazione pornografica – trasfigurata in «una missionaria sessuale inviata in Scozia» per redimere il paese dai tabù, se lo chiederà apertamente: «Come faccio a scordarmi la politica se le tue fantasie hanno una struttura politica tanto convincente?».

«Il mio problema è il sesso, o se non lo è, il sesso lo nasconde così bene che non so più quale poi sia il problema» si dice Jock, tra le quattro mura della camera che gli si stringono addosso, con la testa invasa da donne inventate, tra cui una robusta poliziotta lesbica armata di strapon. In tutto questo turbinare da fermo, Jock arriva a teorizzare la vergogna del pene anziché l’invidia freudiana, e finisce per sentirsi minacciato e poi addirittura violato proprio dalla sua immaginaria Sontag, in cui è difficile non riconoscere la personificazione del femminismo.
Ma chi è Jock? Un benestante tory scozzese che di lavoro fa il responsabile della sicurezza nazionale, e mai lavoro potrebbe essere più appropriato. Supervisiona, come dice lui. Sulle sue dimenticanze, sui lapsus, gli atti mancati che compongono questo continuo rimbalzo psicologico fra sesso e politica.

Jock è uno che ha smesso piuttosto in fretta di credere alle illusioni coltivate dal padre sindacalista: i subalterni non si uniranno per rovesciare i ricchi e lui di sicuro non ha nessuna voglia di mettersi coi «perdenti» né di passare per scemo quando i panni del cattivo gli calzano così a pennello. La «nazione di leccaculo» che protegge è la Scozia che ha mancato il primo appuntamento con l’indipendenza al referendum del 1979.

NE DEVE SCORRERE di acqua sul Clyde prima che Glasgow diventi Glasvegas, che i Mogwai scrivano George Square Thatcher Death Party, e la virale signora invochi in diretta tv il paletto anti-vampiro da conficcare nel cuore della Lady di ferro appena morta. Siamo come chiarisce il titolo del libro ancora fermamente nel 1982, tra la guerra delle Falklands e la seconda ondata del punk, e le Troops of Tomorrow ipotizzate dagli Exploited marciano già per le grigie città scozzesi.

Qualcosa della sua educazione working class, lentamente, però si fa strada fra i pensieri ludibri di Jock. Si ricorda di Denny, la sua prima ragazza, che non poteva permettersi una stanza tutta per sé. E poi vede le miniere, i cantieri navali e le fonderie che scompaiono portandosi dietro la classe operaia, il petrolio scoperto nel mar del Nord che avvantaggia solo gli azionisti, e i parcheggi multipiano e i cavalcavia e «le circonvallazioni che tagliano le città come torte» sono solo dei miraggi urbani di un progresso che si è arrestato.

Jock però ha studiato e ora sta fra chi il nodo scorsoio lo tira, attorno al gozzo di chi aspira solo alla partita del sabato e ai quindici giorni in Portogallo. La comprensione è amara: «Sono lo strumento di un’azienda che installa strumenti per proteggere gli strumenti di aziende che producono carne vestiti macchinari e whisky, ossia strumenti di nutrizione, vestizione, movimento e stordimento.

Mio padre era uno strumento regolatore di una miniera di carbone. Non lo soddisfaceva quindi divenne uno strumento del suo sindacato e del Labour. Pensava fossero strumenti per un futuro di lavoro per tutti, niente guerra e beni distribuiti equamente tra quelli che li fabbricano. Ma il futuro non esiste».

L’AMMISSIONE di una sconfitta è seppellita fra gli amplessi immaginari e le scene madri ricorsive di un romanzo talvolta sfibrante, sicuramente tortuoso, ma capace di farci emergere dal gorgo con l’impressione di aver capito, forse, qualcosa in più della natura umana.