Il referendum sul Jobs Act rischia di far deflagrare il Pd, e intanto il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, la scorsa notte in conclusione del consiglio europeo di Bruxelles, si è espresso molto chiaramente sul punto: «Non ho nessunissima intenzione di cambiare linea su articolo 18 e Jobs Act – ha spiegato in conferenza stampa – Tutto è perfettibile, ma ritengo, alla luce dei risultati, che la riforma del lavoro fatta» dal governo Renzi sia «uno dei risultati da difendere».

In molti dietro le parole del premier hanno visto lo stesso Renzi: anche perché è difficile comprendere cosa ci guadagni per sé stesso l’attuale presidente del consiglio a prendere così di petto una questione diventata sempre più calda e che sembra molto sentita dai cittadini. Potrebbe mai schierarsi e fare campagna per il No, sfidare chi vuole cancellare i voucher e aumentare le tutele? La sua uscita, quindi, potrebbe rafforzare l’ipotesi che dentro il Pd sia sempre più forte la convinzione che sia meglio andare a elezioni entro giugno, rinviando i referendum Cgil al 2018.

D’altronde poche ore prima il Jobs Act era stato difeso dallo stesso Renzi, che non fa mistero di voler andare al voto il più presto possibile: «Il Jobs Act non si tocca. Reintrodurre l’articolo 18 sarebbe come dire “ragazzi abbiamo scherzato” – aveva spiegato l’ex premier – Il giorno dopo arriverebbe un downgrading per l’Italia dalle agenzie di rating».

Poi, ieri, una discussione su facebook con i suoi elettori/fan. Fedele al titolo dato all’assemblea del Pd di domenica «Ripartiamo dall’Italia», Renzi ha cercato di diffondere ottimismo via social network: «Jobs act, buona scuola e altre leggi che avete fatto, avrebbero potuto essere migliori ascoltando un po’ di più i pareri e le esigenze dei semplici cittadini…», gli scrive Luca Marenco. Renzi subito replica: «Ascoltare di più è sempre giusto. Dovremo farlo di più in futuro».

Intanto però ormai il dibattito si è acceso e ciascuno dice la sua, anche per contarsi dentro il Pd, per riposizionarsi in vista del prossimo Congresso (c’è chi dice il 5 marzo). Il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina invoca la nascita di un Pd «federatore di un nuovo centrosinistra», con figure come Zedda e Pisapia, insieme allo stesso Renzi: «Il referendum – ha spiegato – ha chiuso una stagione che si era aperta nel ’91 con i referendum di Segni. Ora il Pd deve mettere in campo un’iniziativa come soggetto federatore di un centrosinistra nuovo, che aggreghi forze, energie e intelligenze, e che vada oltre la vocazione maggioritaria. Credo si debba unire il riformismo dei diritti e della partecipazione, che ha fatto capo a personalità come Pisapia e Massimo Zedda, e il riformismo delle opportunità, che ha interpretato al meglio Renzi».

Interviene anche il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che molti vedono come possibile antagonista (tra i vari possibili) di Renzi al prossimo Congresso Pd. Non appoggia la chiusura dimostrata dal ministro del Lavoro Poletti nei confronti dei quesiti Cgil, per aprire invece a un dialogo con il sindacato (e quindi con la minoranza). «In questo momento dobbiamo capire se si può aprire un’interlocuzione con il sindacato, correggere alcuni elementi, e poi valutare se la via del referendum è l’unica possibile», ha detto.
Gli dà man forte Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, che sostiene la via della correzione in Parlamento dei provvedimenti sul lavoro: «Condivido l’opinione di Andrea Orlando: non possiamo “risolvere in modo burocratico” il tema dei referendum proposti dalla Cgil – dice in una nota – Il governo e il Parlamento hanno il dovere di intervenire per trovare le soluzioni possibili». E poi le indica andando nel dettaglio, ammettendo che quella più problematica sarà la correzione dell’articolo 18, «l’unico dei tre quesiti che ha una stretta corralazione con il Jobs Act».

Una decisa difesa del Jobs Act viene dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ne tesse le lodi senza però citarlo esplicitamente: il mercato del lavoro «continua a migliorare, grazie alle riforme e alle misure di sostegno» introdotte dal govermo, ha spiegato intervenendo al Rome Investment Forum. L’economia italiana, ha aggiunto, «sta facendo progressi, è in ripresa da quasi tre anni dopo una recessione senza precedenti».