Tanto rumore per nulla. Un miliardo e ottocento milioni di euro in incentivi alle imprese per le assunzioni con il Jobs Act hanno prodotto in un anno, da dicembre 2014 (quando la riforma non era ancora in vigore) al dicembre 2015, 109 mila occupati in più tendenziali. Il saldo positivo, comunicato ieri dall’Istat, è lo stesso del 2014: 109 mila occupati su base annua, con una crescita dello 0,5%. La coincidenza è stata fatta notare ieri dal segretario confederale della Cgil Serena Sorrentino, che definisce «una paradossale coincidenza» il risultato di fine anno. «Viene da chiedersi se davvero si può parlare di effetto miracoloso del Jobs Act – aggiunge Sorrentino – e di riuscita delle politiche di elargizione alle imprese dell’esonero contributivo se la tendenza è uguale all’anno precedente».

Ciò che, elegantemente, Sorrentino definisce «paradossale coincidenza», potrebbe anche essere definito un costoso «buco nell’acqua». Tutto a spese del contribuente italiano che nel prossimo biennio finanzierà le imprese con 3,7 miliardi nel 2016, 3,9 nel 2017, nel 2017, 2,1 nel 2018. A marzo – quando il Jobs Act di Renzi-Poletti avrà messo la prima candelina sulla torta- il contribuente avrà speso 13,300 euro per ciascun nuovo assunto. Secondo i calcoli della Uil, nei prossimi tre anni i nuovi assunti con il contratto a tutele crescenti saranno costati 25 mila euro allo stato. Il risultato dei primi otto mesi della pioggia di incentivi ne dimostra l’inutilità: anche senza la renzianissima riforma, il mercato del lavoro avrebbe registrato gli stessi numeri.

Sul calo di 21 mila occupati registrati a dicembre si sofferma Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, “Il dato dimostra che l’occupazione sostanzialmente non è cresciuta, nonostante sia stato l`ultimo mese utile per usufruire dei generosi incentivi.C`è da preoccuparsi». Loy prosegue proponendo una sintesi dei dati annuali_ «Con dicembre – afferma – si può fare una prima analisi sull`anno trascorso. Emerge che i disoccupati, tra il 2014 e il 2015, sono scesi di 200 mila unità; i lavoratori dipendenti sono aumentati di 193 mila, ma l`incremento a tempo indeterminato, pari a 80 mila0 unità, è molto meno forte della crescita delle 113mila unità a termine”.

I ricchi incentivi si sono rivelati inutili per far rivivere un mercato del lavoro stagnante che a dicembre ha registrato un’aumento della disoccupazione (+0,1 – 11,4%) e un altro aumento dello scoraggiamento delle persone nella ricerca di occupazione. I dati Istat confermano, una voltà di più, che a prevalere sono i rapporti di lavoro a termine, e non quelli a tempo indeterminato. In più, gli incentivi hanno drogato il mercato dei dipendenti, abbandonando i lavoratori autonomi e indipendenti. Sono loro i più penalizzati a dicembre: – 54 mila; – 138 mila in nell’ultimo anno. Un’ecatombe.

Il crollo continua da mesi e incide complessivamente sul tasso di occupazione, tra i più bassi dell’Eurozona con il 56,4%. Questa è un’altra prova che il Jobs Act e i sussidi alle imprese non producono nuova occupazione. Davanti a questi dati sorprende che nella misura appena annunciata dal governo sullo «Statuto del lavoro autonomo» sia completamente assente una misura di sostegno alla parte innovativa e indipendente del lavoro autonomo, sia in forma di equo compenso che in forma di reddito minimo.

Nel ritratto di un mercato del lavoro stagnante, si conferma la discriminazione di genere: negli ultimi 12 mesi gli uomini sono risultati più occupati (+132 mila) rispetto alle donne (-23 mila) tra le quali crescono le inattive: +154 mila. Tra i giovani, l’altra categoria più colpita dalla crisi, la disoccupazione è ai minimi dal 2012 (37,9%), ma il calo è lentissimo (-0,1% a dicembre) a causa del fallimento del programma a Garanzia Giovani»