Che effetti hanno avuto il Jobs Act e gli incentivi del governo Renzi sull’occupazione? Ne hanno creata di nuova, aggiuntiva a quella più o meno precaria preesistente? Uno studio della Cgil basato sull’elaborazione di tre fonti ufficiali (dati Istat, Inps e ministero del Lavoro) registra un risultato molto modesto, soprattutto se si raffronta alla mole di miliardi investiti: i nuovi posti di lavoro creati nel 2015 (escluse quindi le trasformazioni) sono solo centomila (precisamente 100.707), di cui – attenzione – ben il 60% sono contratti a termine. Magro quindi il computo dei lavoratori stabili, quelli che – per capirci – potranno chiedere un mutuo o programmarsi un futuro un po’ più tranquillo (peraltro al netto del fatto che le incerte “tutele crescenti” hanno sostituito il ben più garantista articolo 18): solo 40 mila. Spesa complessiva per partorire questo “topolino”: una montagna di 6,1 miliardi di euro.

Gli uffici Fisco e finanza pubblica e Mercato del lavoro della Cgil hanno stilato un report che analizza in termini di politica economica gli effetti del Jobs Act a partire dagli esiti che i due provvedimenti fiscali, decontribuzione e deduzione Irap, entrambi previsti nella legge di Stabilità 2014, hanno avuto sulla riduzione della disoccupazione. Se hanno usufruito dell’esonero contributivo (i famosi 8 mila euro per assunto per tre anni, calati quest’anno a poco più di 3 mila per due anni) ben 1,5 milioni di contratti, l’incidenza sulla creazione di nuovi posti effettivi è però stata molto più modesta.

«Utilizzando la nota Istat sulla rilevazione forze lavoro di marzo pubblicata il 29 aprile scorso, e confrontando i dati degli occupati dicembre 2015 su dicembre 2014 – approfondisce lo studio del sindacato – otteniamo come risultato netto 100.707 occupati in più nel 2015, con un aumento dei dipendenti pari a 263.326 unità e un calo degli indipendenti pari a 162.919 unità, in parte dovuto, credibilmente, alla trasformazione di partite Iva non genuine in dipendenti a tutele crescenti».

Corrado Barachetti, responsabile Mercato del lavoro Cgil, sottolinea il dato dei tempi determinati: «Sono il 60% dello stock dei nuovi posti, per effetto del decreto Poletti, la prima fase del Jobs Act che a inizio 2014 ha liberalizzato i contratti a termine e che è rimasto pienamente operativo accanto alle tutele crescenti, entrate in vigore un anno dopo, nel marzo del 2015».

I 6,1 miliardi di stimolo all’occupazione «sono la somma – spiega la Cgil – del costo della decontribuzione, pari a 3,4 miliardi di euro lordi, più 2,7 miliardi di deduzioni sull’Irap. Costo complessivo che nel 2016 e 2017 salirà rispettivamente a 8,3 e 7,8 miliardi».

I 100 mila posti in più creati vanno oltretutto raffrontati agli 800 mila persi negli anni della crisi, calcola il sindacato: recupero molto limitato, dunque. «Di fatto ogni posto di lavoro aggiuntivo rispetto all’anno precedente è costato alle casse dello Stato, nel 2015, circa 60 mila euro. Questo ponendo in capo all’azione del governo ogni posto aggiuntivo, quindi senza contare gli effetti “spontanei” della dinamica congiunturale. Va da sé pensare che 60 mila euro sono all’incirca il costo di due dipendenti pubblici neoassunti. Se volessimo utilizzare le stesse risorse dei due provvedimenti citati in investimenti pubblici e per creare direttamente occupazione, specie giovanile e femminile, si potrebbero generare molti più posti di lavoro».

Per l’organizzazione guidata da Susanna Camusso «non si possono affidare al mercato circa otto miliardi di euro all’anno nella convinzione che le imprese, attraverso l’abbattimento dei costi, siano capaci di aumentare il numero degli occupati». Il sindacato propone una ricetta di investimento alternativa: secondo il suo Piano del Lavoro, elaborato già nel 2013, «stanziando dieci miliardi l’anno per tre anni, attraverso investimenti e assunzione diretta in settori non esposti alla concorrenza, si verrebbero a creare circa 740 mila posti di lavoro, tra pubblici e privati».

Un sms per denunciare i ticket

Il ministero del Lavoro ha redatto il testo del decreto correttivo del Jobs Act che potrebbe essere varato già dal prossimo consiglio dei ministri: punta a tracciare l’uso dei voucher. Il datore di lavoro dovrà comunicare all’Ispettorato nazionale del lavoro, via sms o per posta elettronica, non più tardi di 60 minuti prima dell’inizio della prestazione i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando anche il luogo e la durata dell’impiego accessorio. Le sanzioni in caso di violazione vanno da 400 a 2.400 euro per ciascun lavoratore.

«Siamo contrari all’abolizione dei voucher», aveva detto due giorni fa il premier Matteo Renzi parlando alla Camera, preannunciando però possibili «miglioramenti» correttivi. La Cgil punta invece a eliminarli con un referendum: i banchetti per firmare si trovano in tutti i Comuni, nelle sedi sindacali e nei finesettimana nelle piazze.