Con gli incentivi alle imprese a giugno sono aumentate le trasformazioni dei contratti precari in contratti a tempo indeterminato «a tutele crescenti». Non sono nuovi posti di lavoro, ma stabilizzazione dell’esistente, mentre si registra il boom del precariato con i voucher (+74%). Oggi chi ha un lavoro lo mantiene, sia pur precariamente, e con uno stipendio più basso. Chi non ce l’ha, stenterà a trovarlo. La crescita c’è, ma non produce nuova occupazione. E i posti di lavoro persi nella crisi non saranno recuperati. Questa la situazione fotografata ieri dall’ Osservatorio Inps sul precariato e dal rapporto Mediobanca «Ricerche & Studi» con stime sul lavoro nelle grandi imprese per il 2015.

Per l’Inps a giugno le trasformazioni dei contratti precari in contratti a tempo indeterminato sono aumentate del 30,6%. È cresciuta la quota di assunzioni con rapporti stabili sul totale dei rapporti di lavoro attivati/variati: dal 33,6% del primo semestre 2014 al 40,8% dei sei mesi 2015. Le nuove assunzioni nel periodo sono state 952.359, le trasformazioni dei contratti precari sono 331.917. Nel primo semestre di quest’anno è aumentato il numero di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato nel settore privato (+252.177), mentre restano stabili i contratti a termine (cioè la maggioranza dei nuovi occupati) e si riducono le assunzioni in apprendistato (-11.500). Per l’Inps aumenta anche il lavoro full time rispetto al part time: i rapporti di lavoro a tempo pieno rappresentano il 63,4% del totale delle nuove assunzioni nei primi sei mesi del 2015, in aumento di 1,1 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2014.

Mediobanca ha presentato uno dei risvolti di questa «bolla contrattuale»: nelle grandi imprese l’occupazione è calata l’anno scorso dell’1,1%. E il 2015 non sarà diverso. Per la cronaca: l’Istat sostiene che la disoccupazione a giugno è tornata al 12,7%, quella giovanile al 44,2%. Poi Mediobanca si sofferma sulle vendite sul mercato interno crollate nel 2014 del 4,3%. I grandi gruppi licenziano in Italia: dall’inizio della crisi nel 2008 gli operai sono diminuiti del 8,5%. Nella sola manifattura c’è stato un crollo del 12,3%. Tagli più contenuti tra i quadri, il ceto medio dei «colletti bianchi»: meno 2%. Nei gruppi esteri che hanno investito in Italia c’è stata una falcidia dei dipendenti: meno 19% tra gli operai, quasi l’8% in meno di impiegati. Chi ha mantenuto il posto guadagna di meno: dal 2006 il potere di acquisto è diminuito del 2,3%, con segnali di tenuta solo nella manifattura (+1%) e un costo del lavoro nei gruppi pubblici in media superiore del 25% rispetto a quelli privati. Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, sostiene che a giugno i dati Inps hanno registrato la fiammata di marzo e aprile sulle assunzioni a tempo indeterminato «frutto della poderosa dose di incentivi che costeranno 11 miliardi in tre anni». Ma l’effetto eccitante sta terminando considerato che c’è un calo da due mesi. «A giugno – continua Loy – la quota di contratti fissi sul totale delle assunzioni, con il 34,5%, continua a calare (-5% su maggio e -10% su aprile) e torna ai livelli di alcuni mesi del 2014».

Renzi ha esaltato i dati sulle conversioni dei contratti: «Il Jobs Act non aumenta i precari, ma le stabilizzazioni – ha scritto su facebook – Come avevamo promesso, il Jobs Act non aumenta i precari, ma le stabilizzazioni. L’Italia riparte, amici, con buona pace di chi si augurava il contrario. Tutto il resto è noia…». Ha citato Sandra Mondaini che, di solito, aggiungeva «che barba» alla noia. Renzi si riferiva alla minoranza Pd e opposizioni: i dati Inps sono diventati un’altra occasione per polemizzare. Su twitter il vice segretario Pd Guerini è stato esplicito: «Noi: più contratti stabili, crescono assunzioni a tempo indeterminato Loro: valanghe di emendamenti, soldi cittadini sprecati #italiariparte». La prima fila Pd, con Orfini, Taddei, Zanda e Serracchiani, ha stabilito che è «di sinistra» pagare le imprese per stabilizzare i loro precari con un nuovo contratto precario, quello «a tutele crescenti». Di una cosa si è certi ad agosto: in mancanza di domanda interna il Pd non parla più di nuovi posti di lavoro. Il principio di realtà si fa sentire. Ed è più forte della noia che produce la propaganda.