Per Matteo Renzi gli unici dissensi rispetto al suo Jobs Act sarebbero venuti da «qualche parte del sindacato». Che sarebbe la Cgil, quella «parte del sindacato» molto critica sulla deregolamentazione dei contratti a termine, senza causale e prorogabili fino a 8 volte in tre anni.

Il presidente del Consiglio impegnato ieri nel vertice italo-tedesco a Berlino con la cancelliera Angela Merkel, alla quale ha portato in dono la precarizzazione senza prospettiva di precari e apprendisti, ha voluto ignorare i «dissensi» dei lavoratori autonomi e dei freelance. La sua riforma «strutturale» li ha cancellati dal taglio dell’Irpef, mentre la legge delega che prevede l’estensione dell’Aspi dai dipendenti in cassa integrazione in deroga ai collaboratori a progetto (1 milione e 200 mila persone) non prevede alcuna tutela per gli autonomi che lavorano in maniera esclusiva con la partita Iva, non hanno dipendenti, e lavorano come freelance.

Sono gli iscritti alla gestione separata Inps (circa 1,8 milioni), gli altri professionisti soprattutto i trenta-quarantenni coetanei del presidente del Consiglio, senza contare gli altri milioni di senza lavoro (in totale oggi sono 3,3) e i precari che lavorano in maniera intermittente con altre forme contrattuali. Un popolo di apolidi che versano contributi, pagano le tasse, soffrono la crisi ancor più dei dipendenti, visto che non hanno la possibilità di curarsi per una malattia o di godere dei diritti fondamentali come la maternità (che sarebbe comunque prevista da una delle misure annunciate).

Questo popolo si è fatto sentire, ad esempio a «La Gabbia», trasmissione di La7 di Gianluigi Paragone, dove un freelance aderente all’associazione dei consulenti del terziario avanzato, Ugo Testoni, ha strappato al senatore di Scelta Civica Pietro Ichino l’impegno «di estendere gli stessi benefici fiscali [il taglio dell’Irpef, ndr.] ai redditi autonomi di pari fascia». Ichino, il quale il 18 febbraio scorso in un’intervista a Radio Radicale ha invitato gli autonomi a stipulare un’assicurazione privata in mancanza di una tutela universalistica fornita dal Welfare statale, ha ripreso la linea del suo partito illustrata dal sottosegretario all’economia Enrico Zanetti in un’intervista a «Effetto giorno» su Radio24 venerdì scorso.

Per Scelta Civica il taglio dell’Irpef dovrebbe essere esteso solo alle partite Iva equiparabili ai lavoratori parasubordinati con 25 mila euro lordi. Si tratta degli autonomi che svolgono attività mascherate da lavoratori dipendenti, le «false partite Iva» che da tempo rappresentano la preda invisibile di governi e sindacati impegnati a regolamentare con gli strumenti del lavoro subordinato l’arcipelago del lavoro autonomo di seconda generazione. Un mondo composto costitutivamente da lavoratori pluricommittenti e con redditi poveri da mille euro lordi in media (a cui sottrarre Irpef, irap e i contributi Inps).

Sospesi in una terra di nessuno, gli autonomi hanno respinto questo orientamento. Chiedono che l’estensione non sia vincolata alla condizione di monocommittenza, ma sia riferita alla condizione di reddito. Autonomo o dipendente, pari sono. Questo resta il terreno dello scontro che, per il viceministro all’Economia Luigi Casero, potrebbe riemergere a maggio come parte della delega fiscale. Contro il silenzio di Renzi sul lavoro indipendente si è scagliato ieri il segretario Cisl Raffaele Bonanni favorevole alla nuova precarietà sui contratti a termine, ma non a considerare un segmento del quinto stato (cococo, false partite Iva o associati in partecipazione) come «paria del lavoro».

L’associazione XX maggio, nata dal forum lavoro del Pd, ieri ha proposto 4 chiavi per avere un «buon lavoro» nell’ambito dell’iniziativa Alta Partecipazione, tra le quali c’è l’idea di finanziare l’Irpef alle partite Iva con un contributo di chi è in pensione ma lavora con redditi alti. Per gli indipendenti non iscritti alla gestione separata è stato proposto un fondo mutualistico volontario.