Dopo l’associazione nazionale dei giuristi democratici e il Movimento 5 Stelle, anche l’Unione Sindacale di Base presenterà alla Commissione Europea una denuncia contro il decreto legge Poletti (il «Jobs Act» di Renzi) per violazione del diritto comunitario sulla normativa di contratti a termine e l’apprendistato. In vista della manifestazione del 12 aprile a Porta Pia a Roma contro l’austerità e il «Jobs Act» ieri i movimenti hanno realizzato azioni di protesta a Roma e Napoli.

Nella Capitale un centinaio di precari, disoccupati, neet, occupanti di casa hanno occupato la sede nazionale della Legacoop per protestare contro il provvedimento che porta il nome dell’ex presidente dell’Alleanza delle cooperative: «flessibilizza ulteriormente il mercato del lavoro trasformandolo in una giungla tra liberalizzazione dei contratti a termine ed abuso di apprendistati e freejob» hanno sostenuto gli attivisti. I movimenti hanno realizzato un blitz anche al centro per l’impiego di via Diocleziano a Napoli, uno dei centri che verrano riorganizzati dalla legge delega sugli ammortizzatori sociali in una nuova agenzia nazionale per l’occupazione.

All’articolo 2 del testo incardinato al Senato e in attesa di essere assegnato alla commissione Lavoro di Palazzo Madama, si apprende che tale agenzia sarà partecipata da Stato, Regioni e Province e vigilata dal ministero del lavoro. Tra i vari compiti attribuiti a questa agenzia c’è quello delle competenze gestionali sui servizi all’impiego, la definizione delle politiche attive e della nuova Aspi, detta anche «Naspi». Il punto che non tarderà a far divampare le polemiche è la natura e i destinatari di questo sussidio. Nei suoi reiterati annunci, infatti, Renzi l’ha fatto passare come un «sussidio universale», cioè rivolto a tutti i senza lavoro. All’articolo 1, comma 2b, viene confermata invece la realtà del provvedimento, già più volte analizzata su questo giornale.

L’Aspi verrà infatti estesa ai soli lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, con la singolare esclusione – si legge nel testo – «degli amministratori e dei sindaci». A parte queste figure politiche «a tempo», ma non certo paragonabili a chi fa un lavoro intermittente, la riforma degli ammortizzatori sociali contenuti nella legge delega al momento si rivolgerà a poco più, poco meno, di 1 milione e 200 mila persone, tenendo conto dell’annunciata volontà di riformare la cassa integrazione in deroga (900 mila persone all’incirca) e dei 300 mila cocopro. La legge delega, che avrà tempi incerti e comunque lunghi, escluderà una parte consistente degli oltre 3,3 milioni di disoccupati (il 13%), senza contare il lavoro autonomo, tutte le altre forme di precariato non assimilabili ai cocopro o ai contratti a termine che il decreto legge incardinato invece alla Camera promette di aumentare, dopo avere cancellato la «causale» di questi contratti e quindi la possibilità di ricorrere contro un licenziamento o un mancato rinnovo.
Il dispositivo della «politica dei due tempi» predisposto dal governo è stata dunque ufficializzata dalla presentazione al Senato della bozza di legge delega: subito la liberalizzazione dei contratti a termine, dopo la riforma degli ammortizzatori sociali per un segmento dei senza lavoro o dei precari e lavoratori intermittenti. Più di qualcuno in questi giorni ha fatto notare che le priorità andrebbero rovesciate, considerata la pressocché totale assenza di tutele sociali per chi ha perso il lavoro. Tra i punti più significativi della legge delega c’è senz’altro la volontà di redarre un testo organico che razionalizza i contratti precari e che ipotizza (articolo 4 comma b) la sperimentazione di «ulteriori tipologie contrattuali per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro». Dunque nuovo precariato. Il comma C conferma l’internzione di introdurre, in via sperimentale «il compenso orario minimo», mentre l’articolo 5 assegna la delega al governo il compito di garantire la maternità, la conciliazione tra vita e lavoro e un «tax credit» per le madri.