Dopo la pausa dedicata alle strategie quirinalizie, il governo Renzi prepara per il 20 febbraio un consiglio dei ministri ricco di decreti sul fisco, scuola, partite Iva e Jobs Act. Sulle partite iva Renzi ha rinnovato la sua penitenza: «Nei decreti delegati sul fisco c’è anche spazio per modificiare in meglio le norme sulle partite Iva e spero riusciremo a presentare» ha detto ieri. Capitolo scuola: il Presidente del Consiglio ha ribadito che si tratta di una «priorità» e la «riforma entrerà in vigore il primo settembre».

Al netto delle «anticipazioni» teleguidate sui giornali, nulla di reale ancora si conosce sui nodi che il governo non è riuscito a risolvere dal 3 settembre 2014, giorno della pirotecnica presentazione del libretto «La Buona Scuola». I precari iscritti alle graduatorie ad esaurimento e quelli del concorso attendono le immissioni in ruolo promesse (148 mila). Ma i docenti di ruolo ignorano ancora se gli scatti stipendiali resteranno o se il «merito» servirà per ottenere un aumento di stipendio, bloccato dal contratto del 2009. Dopo l’inaspettata bocciatura al referendum online sulla «Buona Scuola» il governo ha incassato il colpo e si è chiuso in un silenzio imbarazzato. In compenso, ha fissato una nuova giornata di auto-promozione sulla scuola al tempo di Adriano a Roma per il 22 febbraio. Si chiamerà «La scuola che cambia, cambia l’Italia».
Capitolo Jobs Act. Il Cdm del 20 febbraio approverà il decreto attuativo sulla revisione delle tipologie contrattuali, il cosiddetto «Codice dei contratti». Lo ha detto ieri a Monza il ministro del Lavoro Giuliano Poletti che ne ha sottolineato «l’urgenza assoluta». «La vicenda delle elezioni del presidente della Repubblica fa riferimento a uno specifico atto, nessuno può scambiare nulla – ha detto Poletti – sulle riforme bisogna continuare a camminare con grande determinazione» Cdm il 20 febbraio per conversione e analisi altri decreti. Le Commissioni parlamentari faranno le loro valutazioni e il governo continuerà sulla sua strada».

Il piano resta quello ex ante l’elezione alla presidenza della Repubblica di Sergio Mattarella. Per Poletti il governo non torna indietro sulle sue «riforme». E, come sempre, non offre alcun margini per capire in quale direzione andrà questo codice. Bisogna dunque fare in fretta, ma ieri Poletti non ha detto nulla sul decreto, o sull’abolizione o meno della figura dei Co.co.co. Buio assoluto sulle altre 46 forme di precarietà esistenti, alle quali si aggiungerà il nuovo «contratto a tutele crescenti».

Dichiarazioni che hanno riacceso subito le polveri con la Cgil. «Dialogo con il governo? È una parola grossa visto che pensa di essere in grado di fare tutto da solo, ma in realtà sta centralizzando, burocratizzando e corporativizzando il funzionamento del Paese» ha risposto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, ieri a Napoli per la campagna nazionale «Legalità, una svolta per tutte» contro criminalità organizzata, corruzione ed evasione. Camusso ha rilanciato la campagna degli edili della Filcams Cgil sugli appalti e contor il Jobs Act. «Tutta la normativa va riscritta e non soltanto la parte sulla clausola sociale».

La segretaria generale Filcams Cgil Maria Grazia Gabrielli invita a considerare il contratto a tutele crescenti insieme alla cancellazione dell’articolo 18 per i neo-assunti e il decreto Poletti che ha esteso a 36 mesi la possibilità di attivazione senza causali e con diverse proroghe del contratto a termine. «Nel cambio di appalto – sostiene Gabrielli – i vecchi assunti rischiano di trovare lavoro presso l’azienda subentrante solo accettando un contratto a tutele crescenti».

Indipendentemente dalla loro anzianità di servizio, questi lavoratori saranno licenziabili loro malgrado e riassunti senza le tutele precedenti garantite dall’articolo 18. Per contrastare il Jobs act anche in questo settore, la Cgil ha promosso una proposta di legge di iniziativa popolare «Gli appalti sono il nostro lavoro, i diritti non sono in appalto».