Il Jobs Act come mai nessuno ve lo ha raccontato fino ad oggi. Un dossier dell’associazione XX maggio-Flessibilità Sicura, dal 2007 nel Forum del Lavoro del Partito Democratico, ha analizzato le attuali proposte del governo Renzi, insieme a quelle dell’opposizione e della minoranza Pd e ha descritto quali saranno i veri effetti sulla vita dei precari una volta entrata in vigore la nuova riforma del lavoro. A dispetto degli annunci sulle novità epocali contenute nel provvedimento all’esame del parlamento, la precarietà non verrà affatto superata e, anzi, rischia di peggiorare.

Il premier Renzi e il ministro del lavoro Poletti sostengono, tra l’altro, che il Jobs Act universalizzerà l’assicurazione per la disoccupazione Aspi a tutti i precari. Gli esperti dell’associazione XX maggio ha condotto un rigoroso «fact-checking» su questa affermazione e non hanno trovato traccia di questo auspicio nella legge delega. L’Aspi, in realtà, sarà estesa solo ad altri 46.577 collaboratori coordinati e continuativi (Cococo), quelli con più di tre mesi di contributi versati. La platea di lavoratori che potrebbe accedere al «nuovo» sussidio di disoccupazione crescerebbe fino a 317.656 persone, un numero che comprende 267.079 collaboratori a progetto.

A settembre i disoccupati hanno raggiunto quota 3,2 milioni. Sempre che riesca ad approvare tutti provvedimenti della legge delega, il governo prevede di assicurare un sussidio solo a un decimo di loro. Resteranno esclusi i parasubordinati e le partite Iva iscritte alla gestione separata dell’Inps (1,8 milioni), gli autonomi iscritti all’ex Enpals e tutti i liberi professionisti, tra i quali si sono radicalizzate le nuove forme di precarietà, in particolare dai 40 anni in giù. Senza contare che non prevede alcuna misura di tutela per i circa quattro milioni di precari. «Più che un’universalizzazione dei diritti, questo è un ossimoro» commenta Andrea Dili, portavoce dell’associazione XX Maggio.

L’esecutivo prevede inoltre l’azzeramento dei contributi per i nuovi assunti a tempo indeterminato con uno stanziamento da 1 ,9 miliardi. «Anche se consideriamo questo bonus, il lavoro dipendente resterà sempre più costoso per l’impresa. Senza contare che gli sgravi durano solo tre anni – aggiunge Dili – Sarà sempre più conveniente per l’impresa preferire i bassi compensi degli atipici o delle partite Iva». Gli sgravi dureranno tre anni, mentre i precari continueranno a essere pagati sempre meno e le aziende potranno decidere unilateralmente la quantità effettiva da assumere, quando gli serviranno. Un meccanismo che la cancellazione dell’articolo 18 per i neo-assunti e il «contratto a tutele crescenti» certamente non neutralizza. Anzi, si apre uno scenario paradossale.

La legge cosiddetta «Biagi» cancellò i co.co.co, Renzi invece li riporterà in vita. «Questa possibilità darebbe alle imprese che vogliono abusa>rne maggiore libertà di farlo perché toglierebbe quelle regole e quelle tutele introdotte per i co.pro. ma assenti per i co.co.co», aggiunge Dili.

Altro elemento che getta un’ombra di grande incertezza sulla legge delega è la proposta sul compenso minimo fissato per legge. «È difficilmente applicabile a tutti i settori indistintamente e complesso da adottare per le singole professionalità – sostiene Dili – Il minimo per legge finirà per essere più basso della più bassa delle tariffe previste dalla contrattazione collettiva». In pratica, il Jobs Act non cambierà nulla per i collaboratori.

Nata per creare occupazione, la riforma spingerà invece i collaboratori ad uscire da questo rapporto di lavoro; continuerà ad impoverire gli autonomi che guadagnano in media soli 723 euro netti mensili, mentre con lo stesso reddito lordo ad un lavoratore dipendente restano in tasca 1283 euro mensili netti. Così facendo Renzi e Poletti non faranno altro che rafforzare una tendenza ormai accertata: dal 2007 al 2013 sono stati registrati circa 350 mila collaboratori in meno, di questi quasi 200 mila solo tra il 2012 e il 2013. Una catastrofe. «In Italia la flessibilità dev’essere pagata di più della stabilità. O facciamo un sistema di questo tipo – conclude Dili – oppure l’alternativa sarà quella di abbassare i compensi dei lavoratori, facendo concorrenza alla Romania o al Vietnam. Ma questa strada è arrivata alla fine. Dopo non c’è più nulla».