Si alza il livello dello scontro tra la Cgil e il governo, dopo la riforma dei controlli a distanza introdotta dai decreti attuativi del Jobs Act: ieri la segretaria generale del sindacato, Susanna Camusso, ha definito il nuovo sistema un «Grande fratello», mentre dal canto suo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha risposto con una lunga nota, in cui ha spiegato che la riscrittura dello Statuto del 1970 «non viola la privacy». Va anche detto che qui non solo di privacy si parla, sempre e comunque sacrosanta: il controllo a distanza, infatti, può essere utilizzato anche per esercitare indebite pressioni, anche ricatti, sul dipendente, e aumenta a dismisura gli strumenti in mano dell’impresa per arrivare al licenziamento.

Sulla polemica è intervenuto anche il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «Chi è pulito non teme i controlli», ha detto. Ovviamente le imprese vedono con estremo favore l’aumento del loro potere nei confronti dei dipendenti. Ma i sindacati, e non solo la Cgil, restano comunque preoccupati. Per Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil, si tratta di «liberismo dalla faccia buona», la Cisl, tradizionalmente più moderata, chiede un incontro con il governo. L’Usb parla di «rivoluzione del lavoro, ma sulle spalle dei lavoratori».

Prima di entrare nel dettaglio del botta e risposta tra Camusso e Poletti, che ha caratterizzato la giornata, vale puntare l’attenzione sull’opinione dell’Anm, l’associazione nazionale dei magistrati, che è stata sentita in audizione alla Commissione giustizia della Camera: «L’intera operazione del Jobs Act valorizza il ruolo del giudice, anche se apparentemente lo ridimensiona – spiega l’Anm – e contiene elementi talmente innovativi che laddove la giurisprudenza in materia di lavoro si era sedimentata ora tutto si rimette in discussione». Mentre «negli anni ’70 per lo Statuto dei lavoratori si valutava la conformità con la Costituzione, oggi va verificata la conformità al contesto europeo».E le norme Ue in materia di diritti sociali «sono molto più cogenti del diritto italiano».

Parere interessante perché anche Susanna Camusso, ieri, ha fatto riferimento a una possibile via giudiziaria di contrasto alla riforma: prima di tutto, la Cgil «interverrà guardando all’iter parlamentare nelle commissioni», con la speranza magari di qualche modifica; poi potrebbe riferirsi «alle Autorità» (il Garante della Privacy probabilmente) e infine valuterà, «eventualmente se pensare a ricorsi giudiziari». Sempre che poi il governo recepisca le indicazioni e le sentenze che verranno da istituzioni come la Consulta o gli organi della Ue: come abbiamo visto di recente con le pensioni e i rimborsi più che ridicoli, questo è un esecutivo che “asfalta” facilmente chiunque non sia d’accordo con i suoi provvedimenti.

«È uno spionaggio nei confronti dei lavoratori. Se uno viene autorizzato a entrare nei mezzi di comunicazione che usano le persone, è difficile non definirlo Grande Fratello», aveva detto Camusso in mattinata. Più tardi la segretaria Cgil ha aggiunto che sui controlli a distanza dei lavoratori «bisogna tornare rapidamente alla norma precedente».

«Si tratta di «una forma di controllo maniacale», ha rincarato Camusso. E avviene «in un paese dove si discute ampiamente in Parlamento se le intercettazioni possano ledere la libertà dei politici e di quelli che fanno attività di corruzione. Mettiamoci d’accordo allora perché apparirebbe che bisognerebbe salvaguardare la privacy di chi ha comportamenti di qualunque genere ma se è un lavoratore si può fare qualunque cosa».

La nuova norma «è in linea con le indicazioni del Garante della Privacy», replica il ministero, e semplicemente «adegua la normativa contenuta nello Statuto dei lavoratori alle innovazioni tecnologiche».

Il ministero spiega che «come già la norma originaria dello Statuto, anche questa nuova disposizione prevede che gli strumenti di controllo a distanza, dai quali derivi anche la possibilità di controllo dei lavoratori, possono essere installati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ed esclusivamente previo accordo sindacale o, in assenza, previa autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro o del ministero». Il dicastero spiega poi che non possono essere considerati «strumenti di controllo a distanza» gli strumenti che vengono assegnati al lavoratore «per rendere la prestazione lavorativa» (una volta si sarebbero chiamati gli «attrezzi di lavoro»), come pc, tablet e cellulari. E se fossero modificati per il controllo a distanza, senza ricadere nei casi autorizzati, o «qualora il lavoratore non sia adeguatamente informato, i dati raccolti non sono utilizzabili a nessun fine, nemmeno a fini disciplinari».