Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha cercato di rassicurare: «Le nuove norme non violano la privacy dei lavoratori». Ma opposizione e sindacati si dicono preoccupati. Ieri sono stati varati dal consiglio dei ministri gli ultimi quattro decreti attuativi del Jobs Act, e tra le misure approvate ci sono anche quelle sui controlli a distanza. Senza correttivi: il governo non si è fatto influenzare dalle critiche mosse dai sindacati, né ha voluto recepire, come era invece sembrato la settimana scorsa, gli emendamenti suggeriti dalla Commissione Lavoro della Camera. E così, come in tante altre occasioni, è andato dritto per la sua strada.

In sostanza, le aziende potranno assegnare ai lavoratori strumenti come pc, tablet e cellulari senza che sia necessario un accordo sindacale o una autorizzazione del ministero, richiesto invece per installare telecamere. Ma sarà sempre obbligatorio informare preventivamente e in maniera adeguata gli stessi lavoratori sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, che devono comunque sempre avvenire nel rispetto delle norme sulla privacy. In base a queste due condizioni, le informazioni raccolte «sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro», quindi potenzialmente anche a fini disciplinari.

I decreti approvati ieri sono quindi quattro, e vanno a completare la riforma che ha avuto il suo battesimo il 16 dicembre 2014 (in tutto otto decreti): sono già stati introdotti il contratto a tutele crescenti (che manda il soffitta l’articolo 18, sostituendo il reintegro con un risarcimento monetario); la nuova indennità di disoccupazione (detta Naspi), affiancata dalla Dis-Coll (per i collaboratori) e dalla Asdi (per chi ha già esaurito la Naspi); un allungamento dei congedi parentali e una stretta sui contratti cocoprò, ma senza però eliminarli del tutto.
Con i decreti di ieri, si è riformata la cassa integrazione: limitandone la durata, sia per l’ordinaria che per la straordinaria, a 24 mesi in un quinquennio mobile. Questo tetto può salire a 36 mesi con il ricorso esclusivo ai contratti di solidarietà (24 mesi di solidarietà e poi 12 di cig). Allo stesso tempo, gli ammortizzatori sociali sono stati estesi alle piccole imprese oltre i 5 dipendenti e cioè a 1,4 milioni di lavoratori prima esclusi.

Inoltre, si è introdotto un meccanismo di «bonus-malus»: più le imprese faranno ricorso agli ammortizzatori, più dovranno pagare al sistema previdenziale. Ancora, si è data una nuova regolazione contro le cosiddette «dimissioni in bianco» (quelle imposte illegalmente al momento dell’assunzione, mediante la firma di un foglio che poi resta a disposizione dell’impresa): le dimissioni andranno fatte in via telematica su appositi moduli resi disponibili nel sito del ministero. Moduli che potranno essere trasmessi dal lavoratore anche tramite i patronati, i sindacati, gli enti bilaterali e le commissioni di certificazione. Quanto ai lavoratori disabili, le aziende potranno assumerli mediante la richiesta nominativa, ma non effettuare l’assunzione diretta (potranno essere assunti cioè solo disabili inseriti nelle apposite liste). Infine, si è dato il via all’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro: ma sarà attiva solo da inizio 2016. Ed è stato varato l’Ispettorato nazionale del Lavoro, che dovrebbe unificare, sotto la regia del ministero del Lavoro, tutte le attività ispettive, incluse quelle di Inps e Inail.

Toni di trionfo da parte del ministro Poletti, e dai renziani. Secondo il titolare del Lavoro «il governo ha scelto di mettere al centro il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti», e «molte centinaia di migliaia di precari ora hanno un contratto stabile». E sui controlli a distanza: «Abbiamo colmato un vuoto non sugli impianti fissi ma sugli strumenti in dotazione ai lavoratori. Oggi abbiamo norme chiare e definite nel rispetto della privacy». Di avviso contrario le opposizioni: per Renato Brunetta (Forza Italia) «il Jobs Act non ha creato nessun posto, sono trasformazioni di contratti a termine». Per Arturo Scotto (Sel) «i lavoratori adesso potranno essere spiati». Per l’M5S si tratta di «un attacco che svaluta il lavoro». E di «svalutazione» parla anche Stefano Fassina, ex Pd. Sui telecontrolli si è fatta una «scelta grave» per Cesare Damiano (Pd), presidente della Commissione Lavoro della Camera: «Non sarebbe la prima volta che viene disatteso dal consiglio dei ministri un accordo intervenuto con il Parlamento». La Fiom, a cominciare è quella di Modena, lancia il «D-day» contro il Jobs Act: il 9 settembre le Rsu di 250 aziende metalmeccaniche manderanno in contemporanea ai titolari una lettera di diffida ad applicare le nuove norme. La Uil nazionale teme che «sui controlli aumenterà il contenzioso», e quindi annuncia che userà «la contrattazione nazionale e di secondo livello per recuperare i diritti ridimensionati».