«Dovevo fingere di essere eterosessuale, dovevo essere sempre perfettamente truccata, vestita in maniera sensuale. Dovevo essere un’altra persona, flirtare con gli avventori dei locali. Non era affatto semplice essere lesbica per una donna in quegli anni». Georgia Joan meglio conosciuta con il nome d’arte di Joani Hannan, è stata un’incredibile batterista jazz (è morta a 83 anni nel 2012), la prima in un mondo musicale sicuramente più aperto rispetto alla morale dell’epoca nell’opinione pubblica, ma in cui era impossibile dichiararsi apertamente. Almeno all’inizio. Il documentario di Tina Gordon – Presenting Joani: the Queen of the paradiddle – che viene presentato questa sera al Mix Festival (ore 21 prima della proiezione di Feminista) – la racconta in prima persona, trenta minuti in cui l’artista ripercorre la sua vita e la sua carriera. Una famiglia di origini italiane, sei fratelli, la figura della madre fortissima che la supporta e non giudica le scelte sessuali sue e del fratello, anch’esso gay: «È stata il mio mentore, mi ha dato sostegno, quasi più amiche che madre e figlia».

Joani suona la batteria mentre scorrono sullo sfondo delle foto d’epoca: lei ritratta a otto annell’atto di sollevare le bacchette della batteria, ha già capito tutto. E brucia le tappe nello spazio di poche stagioni: è l’apripista per tutte le donne che cercano di inserirsi nel pianeta musica degli anni ’50. Nei ’60 e ’70 apre Joani Presents, un locale gay situato al 6413 di Lankershim Boulevard a Los Angeles, meta di donne provenienti dalle più disparate classi sociali, chiuso quando Joan Hannan e la sua compagna Marion Cain si trasferirono ad Humboldt County. Joani dopo la seconda guerra mondiale, parte in tour con le forze armate insieme a un gruppo di musicisti, spostandosi in decine di paesi, dall’Islanda al Giappone: «Era divertente – spiega – ma estremamente faticoso. Un giorno ci esibivamo davanti a una ventina di persone e poi eravamo a Tokyo di fronte a una platea di 500 soldati».

Poi arrivano gli ingaggi nei locali jazz di New York, Los Angeles insieme a gruppi di sole ragazze o con star del calibro di Anita O’Day. «Le ragazze di oggi non sanno quanto sono fortunate a poter camminare mano nella mano con la propria partner, per noi non era possibile. Potevamo mostrarci ’diverse’ sul palco, ma una volta scese da lì ci si chiedeva di mostrarci femmine, al cento per cento…». Anche a Hollywood ha avuto il suo quarto d’ora di popolarità, era al fianco di Marilyn Monroe in A qualcuno piace caldo (1959), immortalata nella celebre scena al fianco la diva, con Jack Lemmon e Tony Curtis en travesti.

Tina Gordon, la regista, ricorda il primo incontro con Joan Hannan: «È stato nel 2006, aveva 77 anni e una salute fragile. Era seduta su una poltrona con una bombola d’ossigeno e dei tubicini nel naso, ma sapeva ancora come affascinare, ben pettinata, un rosso acceso sulle labbra e le unghie smaltate. Sono bastati venti minuti perché l’atmosfera si scaldasse, Joan si è seduta dietro la batteria mentre io e la sua compagna Marion abbiamo iniziato a suonare su qualsiasi cosa trovassimo, botticelle di birra, bicchieri, tavoli, muri e finestre. È stato un pomeriggio indimenticabile».