Tre ragazzi ventenni si ritrovano volontari nella stessa brigata repubblicana, durante la guerra civile spagnola, fra il 1936 e il 1937. Sono amici, ma molto diversi fra loro: Juli è un orfano dai modi goffi, ansioso di guadagnarsi una rivincita sociale, con una spiccata attitudine alla provocazione intellettuale che lo rende al tempo stesso attraente e respingente; Cruells è un nevrastenico ansioso, peccatore e «perdutamente clericale»; Lluís, infine, che ha lasciato a Barcellona la sua compagna, Trini, e un figlio avuto da lei, è un borghese radicale con il gusto speciale per l’introspezione.

Osservando le aride rocce del paesaggio aragonese e le veloci nuvole che si inseguono nel cielo, Trini si chiede cosa ci sia di permanente nella vita; e se non si sia tutti un po’ come nuvole, in attesa di un istante di gloria, per poi dissolverci.

È solo un attimo in cui come svegliandosi dal sonno, la gioventù – il tempo in cui ancora non si sa di essere mortali – appare sorpresa da un oscuro affanno, dalla ricerca di un senso al tempo stesso nascosto e irrinunciabile: quell’attimo ingannevole, battezzato da Shakespeare in un verso famoso, l’incerta gloria di un giorno di aprile, quando il baluginare timido della primavera viene cancellato dal ritorno cupo dell’inverno.

Dopo la censura di Franco

Il verso compare nel titolo del romanzo che racconta la storia dei tre giovani: Incerta gloria di Joan Sales, grande classico della letteratura catalana del XX secolo, ora per la prima volta pubblicato in italiano da Nottetempo (per la traduzione efficace e simpatetica di Amaranta Sbardella, pp. 608, euro 20, 00). Le vicende raccontate vengono dall’esperienza di vita dello scrittore, politico e combattente repubblicano, poi in esilio dal 1939 al 1948. Tornato in Spagna, Sales pubblicò il volume nel 1956, mutilato da importanti tagli inflittigli dalla censura franchista, sicché per una versione integrale bisognò attendere il 1971.

Magnifico romanzo epistolare, epico e sovrabbondante fino a sfiorare l’eccesso, il libro è una narrazione moderna, senza vera trama, che passa disinvoltamente dalla descrizione all’introspezione, dall’evento alla memoria. Diviso in tre parti distinte, si compone delle missive che Lluís scrive al fratello dal fronte, di quelle mandate da Trini a Juli e infine di una serie di scritti vergati da Cruells per sé stesso, in cui ripercorre a posteriori, vent’anni dopo, ormai divenuto un prete malinconico e «rosso», i giorni di guerra e la gioventù perduta. I testi seguono una temporalità sfalsata, che non permette alle tre parti di coincidere, espediente di cui Sales si serve per offrire una visione pluriprospettica delle relazioni umane in tempo di guerra. Il conflitto si scompone dunque nel tempo e nello spazio, in tanti scontri diversi, nelle relazioni tra gli individui, e nel loro animo.

Il paesaggio naturale racconta soprattutto moti dell’anima, sentimenti, desideri: nei tempi morti sul fronte ancora non impegnato nel combattimento, Lluís si aggira in lunghe passeggiate per campi desertici e allucinati: sdraiato sull’erba con la faccia al cielo, al calar del sole di agosto vede sorgere lo Scorpione, che trascina all’orizzonte la sua coda interminabile; mentre l’erba «scaldata per tutto il giorno, emana quell’aspro profumo così simile all’ascella di una giovane contadina».
Il riferimento sessuale non è a caso: Lluís si incapriccia di una vedova, già serva di un «signorino», un ricco barcellonese poi assassinato dagli anarchici, che l’aveva esiliata con i due figli avuti da lei in una dimora avita, sorta di castello isolato nella campagna.

La carlana, cioè la castellana, inespugnabile come il suo maniero, è un personaggio minore ma indimenticabile: astuta e seducente, «splendida e mostruosa come la vita stessa», è di certo «la donna più romanzesca della comarca». La sua presenza intrigante, dotata di un’impronta tragica, serve all’autore per introdurre il tema centrale del libro, il classico mistero intrinseco all’amore e alla morte e i sentimenti che lo accompagnano.

L’osceno e il macabro compaiono come fossero i due burroni delimitanti i confini di un mondo descritto come privo di senso, uno spazio caotico dove non è presente alcuno scopo. Così, alla fin fine il grande arcano della vita, della sua riproduzione e della sua decomposizione, può venire avvicinato solo tramite l’innamoramento per una donna o la fede in un ideale assoluto. Tra la guerra e l’amore, tra uccidere e non, passa un solo istante: «Tutti viviamo per questo istante».

Le lettere di Trini sono una variazione sullo stesso tema, ma in uno scenario completamente diverso, quello della Barcellona rivoluzionaria e poi della città assediata e afflitta da un’insensata violenza. Cresciuta in una famiglia anarchica e anticlericale, la compagna di Lluís aveva abbandonato la carriera di geologa per dedicarsi al figlio avuto da lui. Una doppia disillusione la attende: la scoperta che Lluís non la ama e la rivelazione della ferocia sregolata degli anarchici, impegnati a bruciare chiese, a trucidare sacerdoti, a massacrare gli avversari e a scannarsi fra loro.

Le due vicende si intrecciano: è Juli, innamorato di Trini, a rivelarle i tradimenti di Lluís, sperando così di conquistarla. Mentre Trini, sconvolta dai crimini anarchici, cerca risposte nella fede e si fa battezzare, in un percorso tormentato che la avvicina al personaggio di Cruells, verso il quale esercita una forte attrazione.

Prospettiva unilaterale

Lungo pagine intense e partecipate, la barbarie diffusa e culminata negli scontri tra comunisti e anarchici, nel maggio 1937, viene raccontata da una prospettiva unilaterale, come se la violenza anarchica fosse stata l’unica davvero in campo. La ragione è evidente: la brutalità franchista era irraccontabile quando fu scritto il romanzo, mentre su quella comunista venne messa la sordina per opposte, comprensibili ragioni. Ma l’intenzionalità espressiva dell’autore resta limpida: di fronte a tanto orrore non resta che retrocedere verso l’innocenza perduta, tornare al valore dello spendersi per se stessi e per gli altri. Come ricorda a Trini il padre, vecchio anarchico: «era così bello il nostro ideale quando nessuno aveva provato a metterlo in pratica!».

In passi che richiamano da vicino le riflessioni coeve di Albert Camus, Sales insiste sul bisogno di testimoniare la verità «contro le menzogne nere e rosse» e di sostenere la nostra necessità di credere, e di amare. Certo, in Camus manca il richiamo mitico alla Catalogna, sostenuto dall’uso politico della memoria. La giornata tanto importante del 14 aprile 1931, quando in Plaça de Sant Jaume il vecchio colonnello Macià aveva proclamato la repubblica catalana, viene da Sales così rievocata: «Quel giorno eravamo tutti fratelli, tutti catalani, senza distinzione alcuna. I capelli bianchi di un vecchio colonnello e i colori allegri di una bandiera che era di tutti da secoli e tutti ci univa avevano operato il miracolo (…) Era la gloria di un giorno di aprile, e allora non sospettavamo che potesse essere talmente incerta».