Non molti artisti sanno emozionare sul palco come, se non di più, in studio di registrazione. Alcuni rendono meglio magari proprio dal vivo, altri non riescono a riportare le sensazioni di un album ben fatto nella versione live. Joan Wasser, nota al pubblico con il moniker Joan As Police Woman, è tra coloro che sanno come toccare le corde degli spettatori, oltre che quelle di un pianoforte e di una chitarra, che suona con grande leggiadria e sapienza. La tappa romana dell’artista newyorkese, sabato 19 marzo nella Sala Sinopoli dell’Auditorium della Musica, ha confermato tutto ciò, lasciando intatte quelle emozioni che usa trasmettere da ormai quasi due decenni con i suoi dischi, buon ultimo il recente The Solution Is Restless, un vero capolavoro – uscito lo scorso novembre – in cui ha unito le forze con l’amico, come lo ha ricordato durante il concerto, Dave Okumu, e il mitico batterista, guru dell’afrobeat, Tony Allen, scomparso poco prima della pubblicazione dell’anno stesso, a cui la cantante, autrice e polistrumentista (la ricordiamo anche al violino al fianco di Antony and The Johnsons) ha dedicato una splendida versione di Dinner Date, proprio dal disco in questione. E sempre The Solution Is Restless è stato il “core” della scaletta presentata con l’aiuto di tre musicisti eccezionali, a partire dal batterista Parker Kindred – a lui il ruolo non semplice di sostituire il drumming di un maestro come il compianto Allen, riuscendo anche ad accompagnare Joan con una voce che la stessa leader ha definito “celestiale” – per passare all’istrionico e “buffo” Ben Davis al basso e Eric Lane alle tastiere. Un’ora e mezza di grande musica, con la leader ispiratissima, tanto alla voce quanto, appunto con gli strumenti, con dei piccoli e divertenti siparietti in cui i quattro sul palco hanno interloquito come se fossero in una stanza gustando del buon vino, in totale relax.

UNA PARTENZA perfetta affidata proprio a tre brani dall’ultimo lavoro, Get My Bearings, Take Me to Your Leader e Masquerader, tre pezzi dal groove ineccepibile e coinvolgente e dalle armonie mai scontate, scandite prima dal pianoforte a coda che impreziosiva un palco assolutamente, e volutamente, minimale, e poi dalla chitarra, brani a cui ha fatto seguito una delle sue tracce migliori, Hard White Wall, tratto dal secondo lavoro To Survive, per poi passare alla prima delle tre cover in programma, Sweet Thing di David Bowie – le altre due saranno I Keep Forgetting di Michael McDonald e, nel bis finale, Why Can’t We Live Together di Timmy Thomas  -. E ancora, in ordine sparso, la fantastica tirata di The Barbarian, Geometry of You e la citata Dinner Date, tutte da The Solution Is Restless, poi spazio a cose più datate come The Magic, uno dei suoi brani più noti, Tell Me e, a chiudere il bis Holy City. Emozioni palpabili, quelle che ha regalato al pubblico intervenuto in buon numero, nonostante il periodo non felice che stiamo vivendo, e che si è regalata la stessa artista, emozioni che non ha certo nascosto, anzi, ha esternato a più riprese, ringraziando tutti per aver avuto l’opportunità di suonare in un posto magico come l’Auditorium, ma di magico l’altra sera c’è stata soprattutto la sua arte.