Joan Wasser nota come Joan As Police Woman arriva in Italia per quattro appuntamenti dal vivo (oggi 24 marzo Marghera, 25 Firenze, 27 Milano, 28 Roma) e porta con sé il suo settimo album Damned Devotion, un titolo che è quasi un ossimoro e che racconta molto della sua cruda esperienza umana prima ancora che artistica.
Joan Wasser è una cantautrice Usa non più giovanissima e questo ce la fa apprezzare ancora di più perché è un segno smarcante di un modo riduttivo di intendere il rock suonato da donne. Ha grande intensità e personalità musicale e oggi rappresenta una certezza nel panorama indie rock internazionale. Dopo un lungo flirt con la musica classica suggellato da una laurea specialistica si dedica alla costruzione meticolosa di un suo stile utilizzando il violino, poi la chitarra, il piano e la voce. Nel ’97 il suo fidanzato, il cantautore Jeff Buckley, annega a Memphis. La coppia che sembrava destinata a fare grandi cose si dissolve in un luogo dalla indubbia valenza simbolica per chi come Joan e Jeff è naturalmente e anagraficamente designato allo stardom rock.

VERSO NEW YORK
Il tempo lenisce le ferite, Joan va a vivere a New York adottando la nuova identità artistica. Non si contano le collaborazioni: Antony and the Johnsons, Rufus Wainwright, Lou Reed, Beck, David Sylvian, Sparklehorse, Laurie Anderson, Damon Albarn, Norah Jones, Daniel Johnston e il nostro Franco Battiato che nel 2006 la chiama per aprire il suo tour estivo. Negli anni Joan mette la sordina al trip hop stile Portishead e ci infila dentro una struggente carica bluesy à la Nina Simone e un tenue senso di afflizione che ricorda Amy Winehouse. Emerge il profilo di una cantautrice che nel nuovo album lascia affiorare una zona languida e intrigante della sua vena musicale. Qui ripesca con ancora più determinazione le atmosfere seventies del suo alter ego Angie Dickinson della serie tv Police Woman (in Italia Pepper Anderson, agente speciale) e raggiunge un posto di tutto rispetto nella costellazione delle più interessanti performer degli ultimi decenni. Ma ampia è la schiera di artiste che idealmente, ieri e oggi, potrebbero condividere lo stesso palco con Joan Wasser. Tenere, disperate, introspettive, romantiche le definiva Ezio Guaitamacchi, e si riferiva a Sinead ‘O Connor, Rickie Lee Jones, k.d. lang e Suzanne Vega : cantautrici impegnate che proponevano un modello anti-pop e decisamente anticonformista in alternativa alle voci femminili imperanti a partire dalla metà degli Ottanta (Sade e Whitney Houston).

NUOVE PROSPETTIVE
Suzanne Vega, per esempio, con uno sguardo dolce e quotidiano nel 1987 allarga la prospettiva sull’infanzia difficile di orfani e abbandonati con il racconto di Luka dedicato a un bambino abusato («se senti qualcosa tardi la notte/Qualche tipo di disturbo, qualche tipo di lotta/Non chiedermi cos’era/loro battono finché piangi/e dopo non ti chiedi perché»).
k. d. lang rinnova il country Usa e lo travasa in una miscela più commercial pop – celebri i suoi duetti con l’ultimo crooner Tony Bennett – per poi virare verso temi scomodi e talvolta esplosivi suggeriti dalla sua militanza nel movimento Lgbt.
Vennero poi Sheryl Crow, con le radici salde nel southern rock e la canadese Alanis Morrisette prestata per un lungo periodo al folk sulla linea Nashville/Los Angeles.
Ci furono Courtney Love e il movimento delle riot grrrl capeggiato da Kathleen Hanna e Tobi Vail con il loro grunge neofemminista «fin de siècle». Da quella importante generazione di ragazze ribelli viene fuori un’altra figura di riferimento dell’indie rock Usa, Ani Di Franco con in braccio la chitarra acustica e in testa le storie ispirate a Buffalo la sua città natale e la sua idea che fare musica sia una questione profonda e assoluta.
Produce la sua prima cassetta nel 1990, dopo quel debutto registra altri sette album con la Righteous Babe Records, la sua casa di produzione fondata a soli 18 anni, il suo stile si emancipa e diventa sempre più personale e grezzo. La matrice folk spesso attribuita alla sua musica, che resta un ibrido ricco di influssi provenienti anche dal pop più esplicito, sta probabilmente nell’appellarsi all’aspetto autobiografico dichiarato nei suoi brani. In Not a Pretty Girl ironizza: «Non sono una ragazza carina/Non è quello che faccio/Non sono una damigella in pericolo/E non ho bisogno di essere salvata/Quindi mettimi giù, buffone/Non preferiresti una bella fanciulla?/Non c’è un gatto bloccato su un albero da qualche parte?». Ani DiFranco condivide con la più matura k.d.lang i temi legati all’omofobia, al razzismo e più in generale alle questioni della working class femminile con un’attitudine, questa sì davvero country rock nel senso di appartenenza a una comunità sociale e culturale.
Con squarci di epicità barocca e una voce sopranile à la Kate Bush, talvolta scomposto, drammatico quasi disarticolato si presenta il rock di Tori Amos impegnata in un dialogo costante con il mondo femminile come quando nel 1994 in uno dei suoi primi successi Cornflakes Girl enfatizza i temi dell’abuso sul corpo femminile parlando delle mutilazioni genitali.
Affronta l’aborto, lo stupro e l’educazione religiosa opprimente vissuta direttamente con la presenza percussiva del suo pianoforte e di tutte le declinazioni che la tecnologia offre allo strumento a tastiera.
In questa zona trova posto in seguito l’amalgama psych/folk di Johanna Newsom fatto di elementi nordamericani autoctoni e africani e fortemente debitore dello stile «fusion» super eclettico di Bjork.
Fedele al profilo della rocker aggressiva e carismatica è stata P.J. Harvey spesso indicata come l’erede più prossima della rocker per antonomasia Patti Smith grazie anche alla frequentazione di ottimi «cattivi maestri» come Capitain Beefheart e Nick Cave. «Tutti e due cerchiamo risposte nella musica e nelle parole e anche sul piano umano abbiamo molto in comune», dichiarò Polly Jane all’epoca della pubblicazione di Henry Lee lo splendido duetto con Cave incluso in uno dei dischi più belli di sempre Murder Ballads.
Anche per Harvey sono evidenti i temi e le pose di un femminismo maudit, di un’armonia perduta ma d’altronde chi mai crederebbe a un rock femminile che si proclami anti-femminista e pronto a recuperare un modello da «focolare domestico»!

ISPIRAZIONI NOTTURNE
A un’ispirazione notturna vicina alle atmosfere del cinema di David Lynch e al Neil Young di Dead Man guarda anche Neko Case che sa dosare la vena cupa con quella più tenue rappresentata dal power pop di The New Pornographers, una delle sue formazioni più note e significative di fine millennio. Accanto ci sono le diramazioni country di Neko Case & Her Boyfriends e la fusione country noir tutta femminile con il duo The Corn Sisters insieme a Carolyn Mark.
Uno stile fatto di elementi minimi neo-folk tangenti l’ispirazione di Sufjan Stevens è la caratteristica della musica di Laura Veirs che stringe una felice relazione con Neko Case e k.d. lang nell’album omonimo.
Suggestioni ancora una volta tratte dall’orizzonte elegante e straniante della coppia Lynch Badalamenti spiccano nella musica di Sharon Van Etten, cantautrice del New Jersey, con la sua mistura indie folk esaltata da un’indole vocale struggente. Mentre una visione delle cose in tinta jazz noir dilatato e meditativo è il referente più prossimo della italo-belga Melanie De Biasio.
Tra le più recenti scoperte dal mondo del pop confidenziale con screziature folk un posto spetta infine a Laura Marling, ventottenne cantautrice britannica con i suoi sei album e una storia musicale maturata in quel mare magnum di Myspace e culminata nella partecipazione con il semplice ed evocativo What He Wrote nel film Corpo e Anima, Orso d’oro all’ultima edizione del festival del cinema di Berlino.