Se il pranzo di Natale fosse un soggetto interessante dal punto di vista cinematografico di certo esisterebbero una o più serie televisive sull’argomento. Le serie americane sono riuscite finora a trasformare qualunque oggetto e qualunque luogo, dal più ameno al meno raccomandabile, in un piacevole teatro delle proprie finzioni. Dalle pompe funebri ai i casermoni di periferia passando per la prigione, tutto s’adatta e brilla allo schermo.

Il pranzo di Natale, invece, resiste. Eppure, non c’è nulla di più seriale. L’eterno ritorno dell’uguale trova nella tavolata all’ombra dell’abete morto la sua espressione più radicale. Ogni anno stessi parenti, stessi regali, stesso menu. Il cinema a quella tavolata ci si è seduto poco e mal volontieri. Ha cercato soprattutto di sfuggirgli. Come Tom Cruise in Eyes Wide Shut (’99) o come Bill Murray nel film di Natale per eccellenza: Sos Fantasmi (’88) – reinterpretazione di in chiave reganiana del classico racconto sotto l’albero della cultura angloamericana : il dickensiano Canto di Natale. Un bel film di Pupi Avati, Regalo di Natale (’86) non fa eccezione, ché il tavolo è quello del gioco d’azzardo. Il poker è infatti l’unico momento tipico dei festeggiamenti che il cinema adatta con successo proprio perché capovolge il dono in un gesto altrimenti più cinematografico: la rapina.

Sul barbuto in giacca rossa c’è, in mezzo a una pletora di disastri, qualche felice incursione della commedia, ma sempre sul modo dell’inversione. Indimenticabile è Dan Akroyd in Una poltrona per due (’83), che si diverte a imbrattare il babbo, a riempirlo di alcool, a farne l’estremo opposto dell’uomo di successo: il barbone. Una poltrona per due è anche indicatissimo per festeggiare il regalo di Trump alla finanza internazionale (nei due malefici fratelli Duke & Duke non è difficile intravedere un ritratto, assai edulcorato, degli ispiratori del tax cut, ovvero due tra i più pericolosi criminali della nostra era: i Koch brothers. E poi, ovviamente, c’è il mitico Babbo bastardo, film che coincide completamente con il genio dell’attore Billy Bob Thornton e nel quale questo mette in scena una sorta splendido Franti adulto, indomabile nella sua voracità di sesso, droga, alcool, totalmente al di là di ogni redenzione possibile.

A questo punto verrebbe da chiedersi come mai i film sul Natale che ci vengono in mente appartengono agli anni 80. Che ci sia un legame c’è tra l’economia del trickle-down e il Natale è cosa più che ovvia. Cos’è la teoria dello « sgocciolamento » se non una favoletta nella quale grossi regali al capitale finanziario produrrebbero una generosa redistribuzione di strenne alle classi subalterne ? Chi ci crede merita di crepare al freddo o di lavorare la domenica per 10 euro l’ora.

Giuistamente, il cinema presenta il babbo rosso non come diverso ma come l’inverso del capitalismo. La generosità non è altra cosa dall’egoismo. È il suo opposto. Ovvero lo stesso concetto semplicemente invertito. Jingle bells e trickle-down sono giani bifronti. Quindi fa benissimo il cinema a tenersene alla larga o a vomitare su entrambi.