In Europa aumenta la domanda di acciaio ma a Piombino non se ne produrrà più. Ennesima prova ne sono le trattative fra il commissario governativo della Lucchini, Piero Nardi, e l’unico potenziale acquirente delle Acciaierie, l’indiano Sajjan Jindal. Pronto, con la sua Jindal South West, a una nuova offerta vincolante lievemente meno ridicola della precedente – circa 70 milioni di euro invece di 10 – ma sempre legata ai soli laminatoi e ad alcune aree per la logistica retro-portuale. Ma senza alcun impegno concreto per la costruzione di un forno elettrico. Men che mai di un nuovo impianto Corex che nel giro di tre, quattro anni possa sostituire un altoforno che Jindal ha già anticipato di non voler riaccendere.

Per quanto possa apparire surreale, a dar man forte al magnate indiano c’è il governo italiano. Invitato a parlare di lavoro alla festa dell’Unità, il ministro Poletti non ha potuto dribblare una domanda sulle Acciaierie, e davanti alle telecamere del Tg3 toscano ha sentenziato: «Gli altoforni sono la storia del passato, oggi ci sono nuove tecnologie». Più o meno nello stesso momento, presentando alle Rsu della Ferriera di Servola (appena acquistata dalla Lucchini) il piano industriale, il gruppo Arvedi nuovo proprietario dello stabilimento friulano offriva una lettura opposta delle dinamiche siderurgiche: «Il piano sembra delineare una possibile, positiva prospettiva industriale ed occupazionale – hanno certificato Rosario Rappa e Gianni Venturi della Fiom Cgil – con il riavvio in tempi ravvicinati della produzione di ghisa con la ristrutturazione dell’altoforno».

A ulteriore riprova dell’importanza delle aree a caldo, in una riunione tra la dirigenza dell’Ilva e i segretari di Fim, Fiom, Uilm e Usb di Taranto è emerso che lo stabilimento pugliese va avanti come un treno. Con una produzione di 19.500 tonnellate di acciaio al giorno e un programma di lavoro che fino alla fine dell’anno prevede tre altoforni su quattro in marcia, la prima acciaieria a pieno regime e la seconda a due colate e mezzo. Il tutto come probabile effetto diretto delle prospettive generali del comparto: secondo Arcelor Mittal la domanda di acciaio in Europa dovrebbe registrare quest’anno una crescita fino al +4%, dopo un 2013 in cui la produzione nel vecchio continente era rallentata dell’1,6%. Soprattutto a causa dell’Italia, dove la produzione era diminuita addirittura dell’11,6%, mentre gli altri player europei erano rimasti stabili sui livelli dell’anno precedente.

Visto il quadro positivo delineato dall’ufficio studi del colosso franco-indiano, che non per caso ha buttato l’occhio sullo stabilimento tarantino – anch’esso nelle mani di un commissario governativo – a Piombino e in Val di Cornia si inizia, seppur a fatica, a pensare di essere stati presi per il bavero. Nello scorso fine settimana Paolo Francini, operaio della Lucchini, è tornato a manifestare all’ingresso della città. Denunciando quello che tutti in cuor loro sanno: «La siderurgia a Piombino non può finire per risolversi con solo 700 occupati nei laminatoi, mentre per tutti gli altri (i lavoratori Lucchini sono 2.700, ndr) rimane il buio più assoluto».

Da Francini anche un appello: «Chiediamo un intervento del governo. Anche, se non si trovano alternative, il riacquisto da parte dello stato della Lucchini o di parte di essa: solo con gli investimenti sull’acciaio Piombino può riassorbire tutti i lavoratori».

Il problema è che il governo proprio non ci sente. A riprova, il capo del personale Lucchini ha anticipato alle Rsu che entro il 25 settembre potrebbe esserci una proposta per la cokeria. Ma se non andrà in porto, l’impianto sarà chiuso il primo ottobre. Nel mentre il Pd affida al presidente toscano Enrico Rossi il non facile compito di metterci la faccia nelle occasioni pubbliche. Mentre alla festa di Rifondazione sono arrivati gli operai della Lucchini, dell’Ast di Terni e dell’Ilva di Taranto per una discussione, molto partecipata, sulla perdurante assenza di una politica industriale sulla siderurgia italiana.