Di Hendrix, lo sappiamo, non si butta via nulla. Sappiamo anche quanto indotto commerciale ci sia dietro, una rendita per le prossime venti generazioni, E’ innegabile, però, che le ultime centellinate uscite dagli archivi motivi di interesse, e a volte di vero entusiasmo, lo offrano davvero. Adesso è la volta di Both sides of the sky, tredici brani incisi tra il ’68 ed il ’70. Vediamo nascere la Band of Gypsys, il trio finale che Hendrix si inventò per cercare di spingere la sua musica verso la terra incognita di un funk jazz rimasto in embrione, troviamo compagni di strada e di studio di Hendrix da sorriso immediato: ad esempio Lonnie Youngblood, vocalist e sassofonista, che con Jimi militò giovanissimo nel gruppo di Curtis Mayfield. Assieme propongono una Georgia Blues da brividi. E poi Johnny Winter, il chitarrista blues albino all’epoca ai primi lavori: le due sei corde duettano, magistralmente, in Things I ssed to do. Le vere chicche? Molte. Intanto due brani di Jimi con Stephen Stills, la splendida Woodstock di Joni Mitchell, del ’69, ancora non ripresa da Crosby, Stills , Nash & Young, e un inedito assoluto, $ 20 Fine. In entrambi i brani Stills, ottimo chitarrista, per non coprire Jimi suona l’organo. Un orecchio di riguardo anche per Sweet Angel: lì si intuisce il maniacale lavoro in studio di registrazione di Jimi, che prova e riprova soluzioni timbriche particolari: suona la chitarra, la parte di basso, e perfino un vibrafono, in duo con piatti e pelli di Mitch Mitchell. La conclusiva Cherokee Mist del ’68 è la gemma delle gemme ritrovate: Mitch Mitchell alla batteria, e Hendrix che sovraincide alla sua chitarra una misteriosa chitarra – sitar elettrica trovato in studio. E’ del ’68, certo, ma sembra, ancora oggi, un ponte sonoro per il futuro.