Non è esattamente come entrare nella stanza dalle pareti ricoperte di fogli e scarabocchi con numeri e segni – una vera polifonia del disordine – di una delle scene del film Beautiful Mind (con Russell Crowe nei panni del matematico ed economista Premio Nobel John Forbes Nash jr. affetto da schizofrenia paranoide), ma certo il mistero del pensiero matematico – numeri, forme, figure, teoremi e formule – è un polo d’attrazione anche per Jessica Wynne (Watertown, Connecticut 1972, vive e lavora a New York) che ha fotografato 200 lavagne dei più noti matematici e fisici, tra cui Sun-Yung Alice Chang, Misha Gromov, André Neves, Kasso Akochayé Okoudjou, Peter Shor, Christina Sormani, Terence Tao, Claire Voisin, Linda Keen, Carlo Rovelli. Dalla Columbia University di New York all’Università di Zurigo e in molti altri luoghi del globo, la fotografa statunitense ha inseguito le tracce di polvere di gesso: ogni lavagna è come uno specchio in cui si riflette la personalità del personaggio a cui è legata. «Volevo portare questa scienza fuori dal suo mondo circoscritto, per mostrarne la bellezza», ha affermato l’autrice in occasione dell’inaugurazione della mostra Mondo Reale organizzata dalla Fondation Cartier nell’ambito di Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries 23.ma Esposizione Internazionale di Triennale Milano (fino all’11 dicembre).

Nel 2021 hai pubblicato «Do Not Erase: Mathematicians and their Chalkboards»: come si è sviluppato questo progetto?
È iniziato tutto da un rapporto d’amicizia. I miei vicini di casa a Cape Code, in Massachusetts, dove vado d’estate, sono entrambi matematici e insegnano alla University of Chicago. Attraverso loro e i loro amici, per lo più matematici, ho iniziato ad entrare in questa comunità. Per prima cosa sono stata sedotta dalle persone. Prima non avevo mai pensato che il lavoro matematico potesse essere brillante e anche creativo. La prima connessione, quindi, è stata questa «parentela». Ho cominciato a pensare al significato di andare alla scoperta di ciò che non si conosce, senza un obiettivo preciso che non fosse il puro desiderio di conoscenza. Il mio lavoro di artista non era così diverso dal loro. Mentre cercavo di mettere a fuoco come sviluppare il lavoro sui matematici, in India del Nord – dove ogni anno porto per un mese i miei studenti del Fashion Institute of Technology per fotografare in viaggio – sotto il tetto di una scuola mi sono imbattuta in alcune lavagne con delle scritte in Hindi. Non parlando quella lingua non avevo accesso al significato della scrittura, ma la bellezza e la fisicità del gesso sulle superfici delle lavagne mi ha riportata al lavoro dei matematici. Ho pensato che forse avrei potuto fotografare le formule sulle lavagne dei miei amici matematici. Questo succedeva nel 2019. Loro mi hanno presentato altri amici, alcuni insegnano alla Columbia University e al Courant Institute of Mathematical Sciences di New York, la città dove vivo. I matematici erano veramente eccitati di condividere il lavoro sulla lavagna perché il loro è un vero mondo interno, una comunità in cui non si ha facilmente accesso dall’esterno. Ho cominciato anche a viaggiare nel mondo, contattando ricercatori, per lo più matematici, chiedendo loro di poter documentare le ricerche che stavano portando avanti. Anche per chi appartiene a quel mondo è stato interessante vedere il lavoro degli altri che è come una speciale lingua straniera accessibile a pochi. Sarebbe stato interessante pubblicare un libro chiedendo alle persone che fotografavo anche un testo, perché il lettore potesse leggere non tanto il contenuto della formula sulla lavagna quanto la relazione con la lavagna stessa. Così si è sviluppato il progetto della monografia. Naturalmente, scrittura e disegno tracciati a mano sulla lavagna sono molto diversi da quelli fatti al computer e una delle cose entusiasmanti era proprio il rapporto tra il lavoro del pensiero e l’azione fisica della sua trascrizione. Un altro aspetto è quello del modo in cui vengono assorbite le informazioni, considerando anche la relazione tra matematici, ricercatori, assistenti e studenti. Nel cancellare c’è una maggiore libertà: cancellare la lavagna, scrivere nuovamente e poi ricancellare… è una bellissima performance. Mi è piaciuta l’idea di giocare con l’effimero e il permanente, l’antitesi di documentare qualcosa di transitorio, come è nella natura del gessetto, attraverso la fotografia che permane. Nel tempo ho deciso che volevo fotografare in un modo tale da creare nell’osservatore l’illusione di trovarsi davanti ad una lavagna reale. Mi sono avvicinata di più al soggetto, come nell’immagine della lavagna di Carlo Rovelli. Ho giocato con l’idea dell’illusione della lavagna come in un trompe-l’œil e anche nel modo di incorniciare la foto con la bacchetta di legno che ricorda il bordo delle lavagne.

Di questi personaggi non vediamo mai i volti, solo le formule matematiche, il tratto rivela la personalità degli individui…
Assolutamente sì. La lavagna è il luogo in cui ognuno di loro esprime se stesso. Anche lo stile è diverso. C’è uno stile personale nell’uso del gessetto, come per gli artisti. In alcune lavagne è tutto molto chiaro, linee pulite, mentre in altre emerge il caos e il gran disordine. Queste lavagne riflettono la personalità dei matematici in un modo molto interessante.

Fai delle ricerche prima di incontrare i personaggi?
Sì, sono stata anche in diversi centri di ricerca teorica, tra cui l’Institute for Advanced Study di Princeton. Cerco informazioni sui matematici e dopo averli contattati spiego loro il progetto. Dopo aver realizzato la mia prima serie, una delle cose positive che è successa, è stata l’essere stata contattata dal New York Times che, nella sezione scientifica, ha raccontato parlato del mio progetto. Dopo è stato più facile relazionarmi alla comunità di matematici. Nessuno precedentemente aveva mai fatto su larga scala un analogo progetto di documentazione. Per tornare alle ricerche preliminari, sì sono importanti ma quello che colgo è frutto della conversazione che ho con ognuno di loro. Mi è anche capitato di avere appuntamento con una persona e di trovarne altre tre che volevano essere fotografate con le loro lavagne.

Invece, ti è mai capitato di non riuscire a realizzare un’immagine?
L’unico a dire «no», tra l’altro, era un amico. Forse dipende da un certo nervosismo legato al fatto che queste immagini fermano per sempre il momento, o magari semplicemente non voleva che cogliessi i suoi segreti. Un’altra volta, invece, dopo aver fotografato la lavagna ho inviato l’immagine e mi è stato detto che c’era un errore in una formula matematica. Mi chiedevano di fare una correzione con Photoshop. Ma io non lavoro in questo modo! Sono dovuta tornare sul posto per fotografare nuovamente la lavagna. Era solo saltato un numero e probabilmente non se ne sarebbe accorto nessuno, tranne certamente un matematico, ma la foto è stata fatta nuovamente.