Jessica De Abreu, quando è nato il progetto The Black Archives, di cui è cofondatrice?

Siamo nati ufficialmente nel gennaio 2016 quando nell’attuale sede abbiamo scoperto l’intero archivio della storia di questo edificio. Attraverso la catalogazione e l’analisi dei documenti ci siamo resi conto che problemi attuali come le discriminazioni sul lavoro non sono nuove per l’Olanda. Così come però, la resistenza verso questi fenomeni.

Qual è il motivo che vi ha spinto a fondarla?

Volevamo saperne di più riguardo alla storia e alla cultura dei neri in Olanda e renderle accessibili al pubblico, visto il disinteresse del sistema educativo ufficiale. L’obiettivo era far capire che la nostra storia non inizia e non coincide con la sola schiavitù.

Quanto pensa fosse importante dare vita a un progetto come The Black Archives e dare voce ai figli e ai nipoti dell’immigrazione nera in Olanda?

Nella società olandese il passato coloniale passa spesso sotto silenzio così come le sue conseguenze sulla società di oggi. Finora a scuola e all’università si è parlato poco della schiavitù e del colonialismo e quando se ne parla si affrontano le questioni da un punto di vista eurocentrico. Spesso, ad esempio, si sente distinguere addirittura, tra un colonialismo «cattivo», come quello del Knil in Indonesia, e uno «dal volto umano». The Black Archives mira non solo a superare l’eurocentrismo del sistema educativo ma anche a mostrare che altre prospettive e altre idee meritino rispetto e eguale dignità.

Quanto è consapevole il popolo olandese del proprio passato coloniale?

Qui le persone hanno studiato poco o per niente il periodo coloniale. E se ne hanno parlato, lo hanno percepito non così effettivamente negativo come in realtà è stato, e come dimostrano anche le sue durevoli conseguenze sulla contemporaneità.

Quali sono i vostri prossimi progetti?

Una delle prossime esposizioni riguarderà probabilmente l’organizzazione marxista e anticolonialista olandese Lolson e i retaggi coloniali espressi dalla figura di Zwarte Piet.