Pochi giorni fa, sulla Rete Due della Radio svizzera italiana, è andata in onda una lunga intervista di Roberto Antonini a Jean Ziegler. La trasmissione si chiama Laser e consiglio caldamente di ascoltarla. Sono tre puntate che si trovano sul sito della radio (www.rsi.ch) e che partono dall’ultimo libro del celebre sociologo svizzero, Lesbos, la honte de l’Europe, (Lesbo, la vergogna d’Europa) edizioni Le Seuil, non ancora tradotto in italiano. Considerato in patria una figura divisiva e controversa per le sue incessanti denunce contro il mondo finanziario e le ipocrisie dei governi (Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto, La Svizzera lava più bianco sono fra i suoi libri più noti), a 85 anni Ziegler fustiga l’Europa per la scandalosa gestione dei profughi nei centri di smistamento delle isole greche dove dice di aver vissuto una delle esperienze più drammatiche della sua vita, tant’è che li considera veri campi di concentramento. Cibo avariato e insufficiente, condizioni igieniche spaventose, mancanza di scuole, tende di fortuna o baracche, una toilette per cento persone, il proliferare di scabia e pidocchi, acqua spesso infetta, sovraffollamento non sono, secondo Ziegler, la conseguenza di una situazione ingestibile, ma una scelta che serve a costruire un clima di terrore, strumenti di una pratica di dissuasione scientifica che, attraverso la paura, vuole far sì che altri rifugiati rinuncino ad arrivare.

DOMANDA dopo domanda, Ziegler smonta tutti gli argomenti delle destre nazionaliste, xenofobe e razziste aggiungendo: «Dire che in un continente con 500 milioni di abitanti non si possono assimilare 5 milioni di persone è una totale assurdità. Viviamo in un sistema mondiale che da un lato garantisce sicurezza e benessere a una parte della popolazione, dall’altro lascia morire di fame un bambino ogni cinque secondi, quando le risorse agricole attuali potrebbero sfamare 12 miliardi di persone».
L’incontro tocca molti altri punti della lunga vita di Ziegler, lo scontro con il padre, l’incontro con Sartre e Simone de Beauvoir a Parigi alla fine degli anni Cinquanta, la lotta accanto ai ribelli algerini del Fln, la sua esperienza in Congo nel 1961 come assistente dell’Onu durante la guerra civile, la collaborazione con le brigate internazionali a Cuba durante la stagione del taglio della canna da zucchero e poi i suoi 12 giorni con Che Guevara a Ginevra. Era il Marzo 1964 e il Che partecipava come capo delegazione alla prima conferenza sullo zucchero. Aveva bisogno di un autista e Ziegler si mise a disposizione con la sua malconcia Morris.

ZIEGLER racconta che il Che, che parlava benissimo il francese, voleva vedere e sapere tutto. L’ultima sera, in hotel, Ziegler gli dice che vuole partire con lui per fare la sua parte nella rivoluzione. Allora il Che lo porta alla finestra. Si vedeva Ginevra dall’alto, le luci della città, le insegne di banche, assicurazioni, gioiellerie. Le osservano in silenzio, poi il Che dice a Ziegler: «Lo vedi tutto questo?». «Sì» risponde Ziegler. Allora il Che dice: «È qui che sei nato. È qui che c’è il cervello del mostro ed è qui che devi portare avanti la tua lotta». Poi gli gira la schiena e se ne va.
Ziegler dice che il Che era un freddo, un duro, tutto l’opposto di Fidel. Poi aggiunge che il cervello del mostro è ancora lì, attivo, in salute e totalmente efficiente sotto l’apparente rispetto delle regole, come quelle della trasparenza bancaria che vengono aggirate con sottile abilità, basta avere tanti miliardi e trovare l’avvocato giusto, cosa che in Svizzera non manca di certo.

mariangela.mianiti@gmail.com