Il nome tradisce le sue origini francesi, Jean Tirole, ma non è certo molto conosciuto, anche tra gli studiosi della «scienza triste». Per «The Royal Swedish Academy of Sciences» è però uno degli economisti più importanti di questo inizio di millennio per i suoi studi sul «potere del mercato e la sua regolamentazione». E se questa è la motivazione ufficiale, la biografia intellettuale di Tirole evidenzia che si è occupato di economia industriale in settori contraddistinti dall’oligopolio, di teoria dei giochi, di come si è evoluto il settore delle telecomunicazioni e quello bancario.
Laureato in ingegneria, Jean Tirole è attualmente il direttore della fondazione «Jean-Jacques Laffont» della Toulouse School of Economics, da sempre considerata espressione del dirigismo che caratterizza gran parte della scuola economica francese. Dirigismo, tuttavia, non è sinonimo di un approccio keynesiano. Possono convivere politiche economiche neoliberiste che vedono un significativo interventivo statale nella regolamentazione dell’attività economica. Il nobel a Tirole è interpretabile come un premio assegnato a un esponente della pensiero economico neoclassico mainstream. Sia ben chiaro: non un neoliberista radicale, come quelli che siedono alla Commissione europea o alla Fed statunitense, ma neppure un keynesiano. Si potrebbe definirlo come un neoliberista moderato.
Prevedibili le congratulazioni del presidente della Repubblica; reazioni invece entusiastiche del premier Manuel Valls che, con un twit, se l’è presa con chi parla della Francia come di un paese in declino, ricordando anche il nobel per la letteratura assegnato la scorsa settimana a Patrick Modiano. Al di là del cinguettio della Rete, Jean Tirole ha cominciato a pubblicare saggi partendo dalla domanda sulla necessità di un intervento statale in settori contraddistinti da una situazione oligopolistica. La sua tesi è che la regolamentazione serve, ma deve rimanere confinata nella definizione delle regole che favoriscono la concorrenza, impedendo così la costituzione di «cartelli», senza però ostacolare la concentrazione di attività produttive nelle mani di poche aziende. Significativi sono, a questo proposito, i saggi scritti durante la sua partecipazione a un gruppo di lavoro, che vedeva la presenza anche di Joseph Stiglitz, dedicati all’analisi e il ruolo che possono avere i contratti che legano imprese in un settore economico. Anche in questo caso, lo stato, suggerisce Tirole, deve trovare il giusto equilibrio tra regolamentazione della concorrenza e non ingerenza nella formazione di situazioni oligopolistiche. Allo stesso tempo, Tirole ha scritto saggi anche a favore della libertà di licenziamento delle imprese: a patto però che le imprese paghino un indennizzo al lavoratore «messo in libertà», cioè licenziato.
Jena Tirole è dunque un dirigista «moderato»: un neoclassico che non ha mai fatto sue le posizioni più radicali tra i neoliberisti.