Il cadavere di monsieur Lannes, gestore di un esercizio commerciale ma soprattutto inguaribile sessuomane, giace adornato da un vezzoso mazzo di giunchiglie. In soccorso della polizia per un caso che non si presenta affatto facile ecco arrivare il detective Tarling, ovvero Jean-Pierre Mocky… A 85 anni (morirà cinque anni dopo, nell’estate del 2019) l’anarchico regista del cinema francese dettofatto, creato dal nulla e puntualmente destinato alla gloria del fallimento, è ancora lì a divertirsi (e a spossarsi, fa lo stesso) con una fantasia poliziesca, «Le Mystere des Jonquilles» (2014, da Edgar Wallace), orgogliosamente démodé’ e antinaturalista, retta da un sornione disprezzo per l’intreccio parallelo alla preoccupazione di far emergere gli interpreti nella sostanziale indifferenza rispetto al peso dei personaggi. Che qui sono Richard Bohringer, Isabelle Nanty, più un altro campione dell’inclassificabile davanti la macchina da presa, il caraxiano Denis Lavant. Ancor oggi, con più di cinquanta lungometraggi ben poco esportati (ma anche in patria, stante la modesta produzione propria, non si scherzava), Mocky resta «la gatta da pelare nel miagolio autoreferenziale del cinema francese» (Assayas). Dvd e Blu-ray disponibili presso esc-distribution.com .

Dopo l’esperienza brasiliana del decennio precedente, nella filmografia di Luciano Salce (1922-1989) dei primi anni Sessanta «La cuccagna» (1962) occupa una posizione trascurata rispetto ai precedenti «Il federale» e «La voglia matta». Nel raccontare le vicende di Rossella, giovanissima diplomata dattilografa e stenografa che consuma una forzata flânerie romana alla ricerca di lavoro accorgendosi ben presto che il miracolo economico vale solo per gli «altri», rappresentando poco più di un’illusione, Salce – girando con la camera a mano – intendeva esprimersi sulla scia di nouvelle vague e neorealismo, come lui diceva «il metodo più giusto e sicuro per raccontare i fatti della nostra gente. Ma la realtà muta continuamente». Un approccio che allora raccolse in larga misura la sufficiente condiscendenza verso un bozzettismo dolceamaro, e che invece rivisto oggi estende la prospettiva in chiavi stratificate, a cominciare dall’insondabile candore di Donatella Turri (la protagonista Rossella) di fronte ai pericoli di una malizia sempre in agguato, insieme alle peregrinazioni in compagnia di Luigi Tenco (alla sua prima e unica esperienza-cinema), in un involontario parallelo con quelle (altrettanto struggenti, diversamente drammatiche) dei portoghesi «Os verdes anos» (Paulo Rocha, 1963).

Con Umberto D’Orsi, Enzo Petito e Gianni Dei Carpanelli. Su YouTube. Decisamente colpevole dimenticare che prima di «Alien», di «Solaris» e di «2001: Odissea nello spazio», alla conquista dell’Universo si cimentò IKARIE XB 1 (Jindrich Polak, 1963), punta di diamante della science-fiction modernista voluta dal cinema oltrecortina (ceco, in questo caso) per districarsi tra ideologia della Guerra Fredda e utopia del futuribile (tratto da «La nube di Magellano», di Stanislaw Lem). Nell’anno 2163 un gruppo di astronauti parte per una missione ultra-decennale nello spazio profondo, allo scopo di individuare una possibilità di vita in altre galassie: l’eredità del collasso globale provocato nei secoli precedenti, la siderale vastità del cosmo e il sempre incombente senso di vulnerabilità pesano come macigni, e porteranno a un passo dalla catastrofe… Adorato da Joe Dante e Alex Cox. Dopo il Trieste Science+Fiction Festival e il prestigioso inserimento nei Cannes Classics oggi è ospitato in streaming nella «virtual screening room».