Jean Luc Godard non verrà a Cannes. Le voci che si erano rincorse sin da prima dell’inizio del Festival sono diventate certezza. In una intervista rilasciata alla televisione svizzera Rft, il regista più atteso sulla Croisette, dove è in concorso con Adieu au langage (in programma domani) dichiara: «Sono già stato a Cannes in passato e niente potrebbe convincermi oggi a tornarci. Anzi per spirito di contraddizione aggiungo che sarebbe meglio non avere nessun premio, mi basta cbe la gente veda il film e dica cosa ne pensa, se gli piace … Questo è tutto. Mi hanno dato persino un Oscar qualche anno fa, e quando il mio consulente fiscale lo ha visto mi ha chiesto:’Posso tenerlo?’ E io gli ho risposto: Ma certo».

Non è la prima volta che JLG non arriva col suo film al Festival, era già accaduto con Film socialisme, quando aveva annunciato la sua decisione con una lettera pubblicata da quotidiano francese Liberation. Secco il commento del direttore artistico Thierry Frémeaux: «Non vuole venire? Nessuno lo obbliga». Mentre il preidente (uscente) del Festival Gilles Jacob twitta: «Ne ero sicuro. Ha capito che qualsiasi suo brillantissimo show avrebbe oscurato il suo film». Si riferisce ai tempi della torta in faccia? Noi però non ne siamo affatto sicuri. Anzi. Magari uno «show» di Godard avrebbe fatto risalire il tran tran festivaliero imprigionato da sbarramenti che manco nei Territori occupati e ossessione del controllo che manda in tilt l’organizzazione. E che francamente appare un po’ ridicola. Il bunker come lo chiama qualcuno il Palazzo del cinema, appare così fuori moda in rapporto ad altri Festival, chiuso nella sua idea di «grandeur» che ormai è illusione. Ce ne sarebbe bisogno di uno nuovo, in maggiore sintonia con le aspirazioni del Festival. Ma il comune di Cannes (di estrema destra, mai visti tanti body guard e poliziotti insieme come in questi giorni) ha già fatto sapere che non darà i soldi. Troppo caro. Meglio concentrarsi sulla «sicurezza» no?

La «scommessa» Godard è l’ennesima «querelle» di un Festival in chi gli «assenti» sembrano diventare i grandi protagonisti, basta pensare all’isteria montata intorno alla proiezione di Welcome to New York capolavoro di Ferrara, prima e dopo. Tutti a denigrarlo, ma tutti parlarne. Inevitabilmente.