Quando Patrick Raynal, all’epoca alla guida della Série Noire, la prestigiosa collana di romanzi polizieschi di Gallimard, lo contattò perché interessato a un suo racconto apparso su una rivista, Jean-Claude Izzo era già un uomo di mezza età. Giornalista da tempo, poeta da sempre, coltivava fin da ragazzo molte passioni. Tra queste, la scrittura e Marsiglia, per lui divenuta con il passare degli anni molto più che una semplice città, quasi un «destino».

Quando, in quel 1995, gli amori di Izzo finirono per intrecciarsi inesorabilmente gli uni agli altri, molto del suo percorso era già segnato. «Il mio primo libro fu Lo straniero di Camus, un noir favoloso. Poi mi sono imbattuto in Chandler, Hammett, tutti i grandi della Série Noire. E visto che venivo da Marsiglia, il poliziesco è diventato naturalmente la mia letteratura», avrebbe raccontato più tardi.

Ma, come per ogni passione bruciante, il debutto non poteva che avvenire da una giusta distanza, tale da rendere sopportabile l’immergersi in qualcosa che si percepisce come irriducibilmente proprio senza rimanere paralizzati, vittime dell’emozione. Per scrivere Total Khéops, (Casino totale, e/o, 1998), il suo romanzo d’esordio, redatto in cinque mesi, Izzo si rifugiò a Saint-Malo, la città bretone dove avrebbe in seguito animato il festival «Etonnants voyageurs», presso l’amico, e scrittore, Michel Le Bris. E, anche in seguito, «il romanziere di Marsiglia» avrebbe continuato a celebrare il suo amore viscerale per la città foceana da una posizione defilata, con garbo e pudore, «preferisco prendere della distanza, vivo a venti minuti da qui, in un posto più calmo», ammetteva placidamente.

Del resto, fin dal titolo, quel libro – che introduce la trilogia marsigliese che vede al centro l’ex poliziotto Fabio Montale, poi compiuta con Chourmo e Soléa (riunita in un solo volume da e/o)- traduceva un’emergenza che Izzo osservava con crescente preoccupazione. L’espressione l’avevano coniata in quel periodo i rapper di Iam, la crew abituata a mescolare l’argot marsigliese con i riferimenti alla mitologia egiziana, e annunciava il «casino totale» che regnava in città. Non solo di allegra baldoria si trattava, però.

Gli anni Novanta segnano l’apice di una lunga crisi cittadina quando alla corruzione dilagante della politica – è il periodo che vede l’ascesa al potere del padre-padrone della destra locale, Jean-Claude Gaudin -, al farsi sempre più violenta della malavita locale si aggiunge un fenomeno nuovo, un razzismo inedito, perlomeno dall’epoca di Vichy, che regala una serie di risultati clamorosi al Front National di Jean-Marie Le Pen. Per Izzo, passato per Pax Christi, i socialisti e il Pcf, e rimasto un profondo umanista anche dopo aver riposto l’ultima bandiera, l’allarme risuona fortissimo. Il suo secondo romanzo, Chourmo, si apre con un dedica che non lascia spazio ad interpretazioni di sorta: «Alla memoria di Ibrahim Ali, ucciso il 24 febbraio del 1995 nei Quartieri Nord di Marsiglia da degli attacchini del Front National».

Se la città diventa il personaggio principale dei noir di Izzo, lo fa a partire da un’identità aperta e plurale che è oggetto di una minaccia mortale. C’è l’eco di un’infanzia da «rital», l’essere figlio di un immigrato italiano che ha passato la vita a servire nei bar del centro, in quella che è ben più che una posizione ideale. «Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è nulla da vedere. La sua bellezza non si fotografa, si condivide. Qui bisogna schierarsi. Appassionarsi. A Marsiglia, anche per perdere, bisogna sapersi battere», si legge in Total Khéops.

Quell’insieme di emozionanti e vitali contraddizioni, percepibili finanche nella cucina locale – il buongustaio Izzo fa dire a Montale che «mangiare significa accogliere» – che fanno di Marsiglia ciò che è, incarnano un’unicità preziosa, un patrimonio che non può andare disperso pena la perdita di se stessi. «Non ho con me altri bagagli che questa città, non altre culture, nient’altro», amava dire lo scrittore.

Chissà cosa avrebbe pensato del fatto che a un anno dalla sua prematura scomparsa, avvenuta nel 2000, la rete televisiva TF1 programmò una serie che vede Alain Delon nei panni di Fabio Montale: un personaggio così lontano da quello sbirro timido, quasi più educatore di strada che investigatore, sempre a caccia di un nuovo amore «assoluto» e di una bevuta di mauresque (pastis e sciroppo d’orzata) nei vicoli vicino al Vecchio porto, nel quale aveva riversato il suo disincanto come la sua fede nella libertà. Proprio Delon, con le sue amicizie tra i potenti e gli uomini dell’estrema destra…

Quasi uno scherzo del destino per chi ha saputo portare il sole di Marsiglia nei territori cupi del noir, illuminando per quella via l’impossibile strada della redenzione. Per Izzo, del resto, «non si capisce nulla di questa città se si è indifferenti alla sua luce, palpabile, anche nelle ore più brillanti. Quando ci obbliga ad abbassare gli occhi».