«Jazzocene», neologismo potente ma non autocelebrativo per gli Stati Generali della Federazione il Jazz Italiano (FDJI, presieduta da Paolo Fresu) che si stanno tenendo nel capoluogo emiliano (19-21 maggio). La scelta di Bologna è logistica quanto «storica», essendo la città un luogo importante nella vicenda del jazz in Italia, dalla scena delle cantine e delle jam-session negli anni ’50 alle sue rassegne e ai suoi jazz club, dalla cattedra di Civiltà musicale afroamericana al DAMS (per decenni tenuta da Giampiero Cane) alla visionarietà-progettualità del festival di Angelica fino al collettivo Bassesfere e a tanto altro.

«Jazzocene, Presente, futuro, ambiente» ha mosso i suoi primi passi con lezioni-concerto nelle scuole a cura di IJVAS (Il Jazz Va A Scuola, una delle sei associazioni componenti la federazione nata nel 2018), interventi che hanno visto suonare studenti del liceo «L.Dalla» e del conservatorio G.B. Martini. Il 19 c’è stato un preludio per i direttivi delle associazioni e un tavolo inter-associativo sui temi federativi. Temi urgenti, perché la crisi pandemica e il PNNR (oltreché la guerra in Europa e le relative crisi economiche) stanno cambiando tutto ed occorre capire il futuro e agire nel presente. Dopo un corroborante ed ispirato concerto in duo tra Paolo Fresu ed Uri Caine (reduci dal torinese salone del Libro, dove si sono esibiti con Mariangela Gualtieri) il 19 sera nella ‘storica’ Cantina Bentivoglio, i temi di «Jazzocene» sono entrati nel vivo venerdì 20.

L’EPICENTRO è la sala Bossi del conservatorio Martini – grazie all’ospitalità del direttore Aurelio Zarrelli e al coordinamento di Stefano Zenni – e nella prima mattinata si è parlato di «Formazione e ricerca». La sala Bossi ha ospitato molti contributi ma un forte imprinting è stato dato dal maestro Franco Lorenzoni (Casa Laboratorio di Cenci) la cui passione e l’afflato etico-didattico, in una dimensione politico-educativa, hanno lasciato il segno. Già Paolo Fresu, introducendo, aveva parlato di riflessione sul presente e di compito del jazz nella crescita collettiva: «si chiede alle istituzioni ma ci si interroga – ha detto il trombettista – per una nuova visione in un immediato futuro». Lorenzoni ha, tra l’altro, illustrato dieci ragioni per cui la scuola deve aprirsi al jazz tra cui il fatto che la musica crea comunità e genera tolleranza, sensibilità. Inoltre il jazz è luogo di connessioni interculturali e introduce all’artigianato creativo, un diritto di tutti. Un’idea di educazione viva, democratica, creativa, socializzante che vede il linguaggio jazz come potente vettore.

ALLA CRISI del pubblico, infatti, l’associazione IJVAS, presentata dalla presidente Catia Gori, risponde con progetti di diffusione della musica nella scuola dalla materna (elaborati con Sonia Peana), presentando varie esperienze realizzate e incredibilmente fertili. E di «esperienze jazz per l’infanzia» hanno parlato, mostrando risultati importanti, Cecilia Pizzorno, Ilaria Biagini e Massimo Nunzi; Loredana Franza ha raccontato come si lavora sul pubblico dei piccolissimi in Svezia e Danimarca (progetti Jazoo) coniugando formazione e lavoro. Preziosa altresì la testimonianza di Bruno Tommaso su «insegnare il jazz e le musiche improvvisate», in cui si è messo in guardia dall’accademismo, richiamando alla centralità dello studente. Zenni, Paolo Damiani, Roberto Antonello e Nicola Pisani hanno parlato di Afam, licei musicali, conservatori e dipartimenti jazz mettendo a fuoco contraddizioni e buone pratiche, rigidità normativo-burocratiche e modelli alternativi (quello francese). Ha concluso l’intensa mattinata Annalisa Spadolini (Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica MIUR) parlando, tra l’altro, del «Piano triennale delle arti» e della scuola come centro culturale di primo livello sul territorio.

Fra gli interventi quello di Francesco Martinelli sugli «archivi come memoria della comunità del jazz» (con annessi problemi), quella di Paola Mencuccini sulla «filiera musicale e tax credit»

Se la mattinata è andata a scavare e a documentare quanto si sta facendo a partire dalle più giovani generazioni, nel pomeriggio (Editoria e archiviazione) si è parlato di più specifici campi e azioni delle associazioni che sono nella federazione. Rispetto a precedenti storici associativi come l’AMJ (Associazione Nazionale Musicisti di Jazz, inizi anni ’90) la grande differenza della FIDJI è quella di aver aggregato gran parte del settore nella sua articolazione, dialogando al suo interno ma relazionandosi compattamente con le istituzioni. Paolo Fresu ha, peraltro, anticipato un cambio di presidenza (Ada Montellanico, con ogni probabilità) mentre alcuni responsabili delle varie associazioni hanno fatto un rapido bilancio delle attività in essere e nel futuro: Federico Mansutti per la ADEIDJ (Associazione delle Etichette Indipendenti di Jazz con 25 label associate); Pino Ninfa della AFIJ (Ass. Fotografi Italiani di Jazz che ha ricordato, con affetto e rimpianto, Roberto Masotti). Il 21 si farà un bilancio anche per I-Jazz (Ass. dei Festival Italiani di Jazz, presidente Corrado Beldì), IJC (Italia Jazz Club, Rosario Moreno) e MIDJ (Musicisti Italiani di Jazz, Alessandro Fedrigo).

Nel pomeriggio del 20, però, hanno catalizzato l’attenzione la comunicazione di Francesco Martinelli sugli «archivi come memoria della comunità del jazz» (con annessi problemi), quella di Paola Mencuccini sulla «filiera musicale e tax credit” (intervistata da Claudio Carboni) e l’intervento di Andrea Micciché (presidente NuovoIMAIE) sulle novità introdotte dalla direttiva copyright. Ma il vero fulcro è stata la discussione in quartetto sulle relazioni tra artisti ed etichette e sul mondo sonoro tra Spotify e BandCamp (alla luce della progressiva scomparsa dei supporti fonografici, come realtà materiale). Ne hanno parlato, con tantissimi spunti di grande interesse, Damir Ivic (Soudwall), Ermanno Basso (CamJazz), Tommaso Cappellato (Domanda Music, in collegamento da Los Angeles), Paolo Franchini (presidente FEM) e Raffaele Cuccu (responsabile marketing Qobuz). Etichette nel nuovo scenario, piattaforme, superamento della casa discografica, autoproduzione, presenza sui social … Un campo aperto e in veloce, spesso imprevedibile, trasformazione. Oltre le parole la musica con, di pomeriggio, un quintetto di studenti del conservatorio (con Marco Porcelluzzi, Vincenzo Bosco, Sergio Mariotti, Valentina Tollis) in cui si è distinta la cantante Ada Flocco. La sera alla cantina Bentivoglio (ma concerti e mostre fotografiche ci sono anche al Bravo Café e al Camera Jazz & Music Club) il Laboratorio Orchestrale Bologna in Jazz diretto da Michele Corcella (ospiti Glauco Venier, Marcello Allulli e Cristiano Arcelli) in una suite dedicata a Bukowski.