In un angolo c’è lo storico pianoforte Hofer con lo spartito di After you’ve gone di Louis Armstrong, il suo pezzo preferito, con quaderni, foto e oggetti d’ adolescente compreso un mobile radio d’epoca. Ecco la prima scintilla della fortunata carriera di Lelio Luttazzi, musicista, arrangiatore,attore e uomo di spettacolo di suprema eleganza, personaggio eclettico quanto ironico e garbato, scomparso nel luglio 2010. Da domani ai Mercati di Traiano (fino al 2 febbraio), una colorata e multimediale mostra, Lelioswing, 50 anni di storia italiana , curata e voluta dalla moglie Rossana, anima della Fondazione Luttazzi con l’aiuto dell’assessorato alla cultura del comune di Roma, ne ripercorre le imprese, le numerose sfaccettature di quel giovinotto matto, nato e cresciuto con la radio, voluto e vezzeggiato dal cinema, reso popolarissimo dalla televisione ma che soprattutto amava la musica, l’arte che gli ha permesso di realizzare tanti suoi sogni.

«Lo swing per quelli che lo capiscono è una goduria ma si tratta sempre di una minoranza e sarà sempre così. Ma non morirà mai» recita un cartello a sua firma nell’itinerario di sette stanze, stracarico di ritmo, memorabilia, poster originali, cartoline, oggettistica curiosa (un modellino di una strepitosa enorme auto giardinetta blu con sul tetto la macchina da presa e il seggiolino del cameraman, la scritta Rai sulla fiancata e una macchina fotografica Crown Grafic Special, la macchina dei ’paparazzi’), il microfono radiofonico americano anni ’40, il televisore Geloso bombato anni ’50, le lamette da barba che Lelio usava, da sempre, per cancellare le note sbagliate sulla carta da musica, tantissimi filmati, alcune puntate di Hit Parade, dischi d’ogni genere (edizioni argentine, turche, francesi dei suoi successi e 45 giri davvero inconsueti e rari, nati sull’onda di oggi dimenticate trasmissioni televisive).

Un curioso percorso che parte da Trieste, la sua città (Radio Trieste, il jazz, il primo complesso di Lelio «I Gatti Selvatici», gli americani, il piano bar all’ Hotel de la Ville) e passa per Milano (la direzione artistica alla Compagnia Generale del Disco con Teddy Reno e i tanti dischi pieni di swing). E ancora, Torino (dove dirige, nel 1950, l’ orchestra stabile della Rai, inventando uno stile musicale nuovo per l’Italia: l’ orchestra d’archi ritmica) e Roma (1954-1970: con la radio, il periodo d’ oro della tv e del cinema: le interpretazioni in film come L’ Avventura di Antonioni, L’ Ombrellone di Dino Risi e le tante colonne sonore per i film di Mario Monicelli, Totò, Dino Risi, Luciano Salce, Sergio Corbucci).

Dall’Italia in bianco e nero a quella a colori, dal periodo d’oro di Studio Uno («dove inventava una canzone al giorno per Mina, per le Kessler, per la grande orchestra della Rai» dice Pippo Baudo che ricorda anche alcuni aneddoti di Boom Ahi Che colpo di luna) alla sua celebrazione come intrattenitore, musicista, presentatore, insomma un personaggio attraverso cui leggere in filigrana i mutamenti della società italiana (attraverso pannelli che evidenziano fatti di cronaca, di costume e di spettacolo). Lo spazio più divertente è l’ installazione interattiva «Come and Play with Lelio Swing». Su una parete, i tasti (virtuali) bianchi e neri di un pianoforte sotto un filmato da scegliere tra jazz, canzoni e duetti, accompagnando Lelio col semplice movimento delle mani (l’iconografia preferita della mostra e dello showman) simulando nell’ aria il gesto di suonare sulla tastiera proiettata sul grande schermo in modo suggestivo, ballando, saltando e modificando (in parte) il sottofondo (o l’assolo) musicale.

Una vita segnata dal successo ma anche da un’ingiusta carcerazione, un’esistenza e una carriera tra swing e malinconia. All’apice del successo viene arrestato, insieme con Walter Chiari con l’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti. Dopo 27 giorni di carcere, viene completamente scagionato. Da quell’esperienza scrive un libro Operazione Montecristo, la base del film-denuncia di Nanni Loy, Detenuto in attesa di giudizio, con Alberto Sordi. Nel 1972 decide anche di scrivere, partecipare e dirigere L’illazione, il suo unico film nel ruolo di autore cinematografico, con un giudice protagonista di una notte folle e infinita. La Rai non lo trasmise mai e lui lo «dimenticò» nel fienile della casetta di campagna ove si trasferì. È stato recentemente ritrovato e restaurato e presentato al Festival del Cinema di Roma.

Un j’accuse alla Oblomov, il personaggio del libro di Gonciarov, il romanzo più amato da Lelio, probabilmente per ribadire la propria visione della vita distaccata dalle mode e dai tic della società, denunciandone l’arrivismo, la sfrontatezza, la superficialità. Ah benedetto fiol d’un can de Trieste.